Non ci sarebbe neanche bisogno di attendere il pronunciamento del Ministero dell’Economia sull’annosa questione della spalmatura in trent’anni del maxi disavanzo della Regione nei confronti dello Stato, per asserire che la Sicilia è già piombata nella paralisi. In attesa che vengano a concretizzarsi i tagli al trasporto pubblico urbano, al diritto allo studio, alle attività sportive e teatrali, e soprattutto agli stipendi dei lavoratori – che stando alla manovra approvata lo scorso febbraio “sono cosa fatta” (parola di Riccardo Savona, presidente della commissione Bilancio all’Ars) – l’Isola è già mummificata sotto vari aspetti. Attende risposte che non arrivano, lancia moniti che non vengono raccolti e non riesce a sbloccare criticità ataviche, come quelle denunziate pubblicamente dall’assessore regionale alle Infrastrutture Marco Falcone, che ieri ha sferrato l’ennesimo attacco all’Anas, l’azienda statale che gestisce le autostrade nell’Isola. E’ tutto fermo. Il solito Gattopardo.

Ma andiamo con ordine. La questione più impellente riguarda alcuni lavoratori regionali, che intravedono di fronte a sé il buio pesto. Oltre agli ex Pip, ai dipendenti Esa (l’Ente di Sviluppo Agricolo che non è mai stato chiuso nonostante le promesse), e a quelli dei Consorzi di Bonifica, che rischiano di finire “schiacciati” dalla carenza di liquidità nelle casse regionali e che una mini-manovra correttiva, da approvare entro giugno, non metterà al riparo dai problemi, ne esistono altri sul piede di guerra. Sono i regionali che vorrebbero approfittare di quota 100 o del regime di pre-pensionamento, ma che non possono farlo finché non verrà approvato da Sala d’Ercole il famoso “collegato” alla Finanziaria. Ossia il disegno di legge stralcio che prende le norme escluse dalla Legge di Stabilità e le infila in questa lista dei sogni che solletica, non poco, gli appetiti dei deputati regionali.

In questo “collegato”, però, ci sono anche delle norme che tornerebbero utili ad alcuni lavoratori: ad esempio, l’articolo 11 del testo (“Disposizioni in materia di trattamento pensionistico dei dipendenti della Regione”), prevede per i dipendenti regionali che ne fanno richiesto la possibilità di aderire a quota 100, il provvedimento-manifesto della Lega di governo; o ancora, al comma 2, l’opportunità di non applicare gli incrementi dell’aspettativa di vita a chi ha chiesto il prepensionamento col sistema approvato con la Finanziaria regionale del 2015. In sintesi, di scongiurare il blocco dei pensionamenti che potrebbe verificarsi dalla fine del 2020 e che, secondo i sindacati, “vedrebbe negare il collocamento in quiescenza soltanto a una minima parte di dipendenti regionali che ne hanno fatto richiesta, circa 400 su 5 mila circa, creando una situazione di disparità di trattamento ingiustificabile e inammissibile”. Peccato che il “collegato”, dopo una discussione nelle commissioni di merito, non sia ancora passato al vaglio dell’aula di Sala d’Ercole – non è stato nemmeno calendarizzato – e poggi su fondamenta poco solide dal punto di vista finanziario. In ogni caso, dovrebbe essere approvato a breve.

Ma c’è un’altra categoria di persone che da mesi – alcuni addirittura venti – non vede il becco d’un quattrino. Si tratta dei dipendenti del Consorzio di Bonifica di Ragusa, che ieri mattina hanno occupato la sede dell’assessorato all’Agricoltura e, insieme ad alcuni deputati regionali (Dipasquale del Pd, Campo del M5S e Ragusa di Forza Italia) hanno atteso un incontro con l’assessore Bandiera. “Da otto mesi non riceviamo stipendio – ha raccontato Giovanni Fracanzino, sindacalista della Cisl – e dal primo aprile 2014 lo stipendio non viene erogato con regolarità. La situazione è arrivata a un punto di non ritorno. Siamo ridotti alla fame”. Che detto così fa impressione. Nella maggior parte di casi tratta di lavoratori monoreddito, talvolta stagionali, con un’età superiore a 50 anni. Per i quali un reinserimento lavorativo risulta molto difficoltoso, laddove non impossibile.

“Intanto bisogna intervenire sull’emergenza – fa rilevare la grillina Stefania Campo – e quindi sbloccare delle risorse per potere pagare alcune mensilità di stipendi, sapendo che ci sono persone che non ricevono compensi da più di un anno, e comunque tutti i lavoratori accusano ritardi ormai da parecchi mesi, anticipando non soltanto il loro lavoro ma anche le spese dei mezzi che servono per lavorare. Ma altra cosa molto importante è quella di pianificare un intervento strutturale, perché pur riuscendo a ottenere un contributo straordinario, il problema non si risolverebbe di certo, in quanto si ripresenterebbe di mese in mese, di arretrato in arretrato”. I lavoratori hanno chiesto che la Regione si impegnasse a sbloccare le risorse semestrali con cui l’Ente contribuisce al bilancio del Consorzio (ma la mancata approvazione del Bilancio preventivo da parte dei revisori dei Conti ostacola questo passaggio). Alla fine dell’incontro Bandiera si è impegnato a contattare il commissario del Consorzio di Bonifica e il suo direttore per comprendere se in cassa ci sono le risorse per pagare gli stipendi saldare le spettanze. Ma per i Consorzi di Bonifica, non solo quello di Ragusa, un’altra mazzata rischia di arrivare nelle prossime settimane: semmai i tagli dettati dal Bilancio regionale diventassero realtà, al settore verrebbero sottratti ulteriori 8,7 milioni di euro.

Ma la Sicilia è paralizzata sotto molteplici aspetti. Prendete le autostrade. Anche quelle non funzionano. Il problema è riemerso con forza alle prime luci dell’estate. Quando, cioè, domenica sera tantissimi viaggiatori sono rimasti bloccati per due ore sulla Palermo-Catania, fra Bagheria e Villabate, per un cantiere fra l’altro inattivo. L’assessore Marco Falcone, nel suo dossier, ha segnalato dodici cantieri aperti lungo quell’arteria, e altri otto sulla Palermo-Mazara del Vallo, in direzione Trapani. Ma l’assessore, sempre molto critico con Roma e con l’Anas (che gestisce parte del tessuto autostradale dell’Isola) ha evidenziato un’infinità di carenze, ad esempio sulla Palermo-Agrigento, nel tratto di Bolognetta, dove un intervento costato 355 milioni di euro è in palese ritardo. “Il presidente Musumeci è stato chiaro – ha tuonato Falcone – I cantieri devono durare al massimo sei mesi. Tanto più che sulla Palermo-Catania l’Anas fa fare una figuraccia al ministro Toninelli (a proposito, notizie sul commissario per le strade?): lo Stato ha stanziato 800 milioni da spendere in quattro anni, nel primo ne ha investiti meno di 40. Di questo passo la manutenzione durerà 20 anni”. Il caso più imbarazzante di un tessuto autostradale inadeguato proviene dal viadotto Himera, che a quattro anni dal crollo non è stato ripristinato. In una relazione presentata in commissione viabilità al Senato, l’Anas aveva provato a smontare – preventivamente – le accuse, spiegando che i ritardi negli appalti erano provocati dalle lungaggini burocratiche. Eh già, ma dei lavori mai finiti di chi è colpa?

In fondo a questo tracciato di inadempienze, negligenze e blocchi si staglia l’orizzonte cupo delle province siciliane, a rischio dissesto (Siracusa ha già dichiarato il default) e non più in grado – dalla loro parziale cancellazione avvenuta con Crocetta – di garantire servizi fondamentali come l’edilizia scolastica, la manutenzione viaria e i servizi agli studenti disabili. Una questione che ha sullo sfondo, e soltanto sullo sfondo, le liti interne alla maggioranza di Musumeci su quando tenere le elezioni di secondo livello (che non prevedono la partecipazione popolare), fatte slittare dal 30 giugno di quest’anno al 20 aprile del prossimo. Nel frattempo Cateno De Luca si è barricato all’interno della sede istituzionale della Città Metropolitana di Messina, di cui è sindaco, e ha iniziato lo sciopero della fame: pretende il rinvio del voto, ma soprattutto che l’assessore Armao si faccia da parte e vada a casa per aver trattato al ribasso con lo Stato e aver ottenuto, piuttosto che i 350 milioni utili alla sopravvivenza, 140 milioni, per altro sottratti ai fondi per gli investimenti, di cui “40 se li frega la Regione” per risanare i conti. De Luca chiedeva che il governo siciliano intervenisse entro ieri “perché in commissione Bilancio alla Camera i 140 milioni passino con un sub-emendamento a 350 milioni, quello che serve a ripianare la situazione deficitaria precedente”. Non l’ha fatto, dato che Musumeci ha dichiarato che i 100 milioni ottenuti sulla base dell’accordo Stato-Regione, quello che porta la firma di Armao, fosse l’unica soluzione possibile. E si è accontentato.

Eppure c’è chi alla Camera, in commissione Bilancio, si era battuto come un leone per non rinunciare a dei soldi che alla Sicilia spettano. Senza che venisse intaccata la voce “finanziamenti”, ma adducendo alla questione del prelievo forzoso. Ad esempio Nino Germanà, deputato messinese di Forza Italia, primo firmatario di un disegno di legge tuttora in esame: “Da tempo denunciamo che le trattative tra governo nazionale e Regione Siciliana sulla restituzione del prelievo forzoso a carico delle ex province, altro non sono che una presa in giro. Il testo che la maggioranza ha depositato in commissione bilancio alla Camera – aggiunge – sottrae 140 milioni dal fondo per gli investimenti per la Sicilia e solo una parte di queste somme viene destinata alle ex province e città metropolitane. 100 milioni del tutto insufficienti al raggiungimento degli equilibri di bilancio come recita l’accordo Stato-Regione e di gran lunga inferiori ai 243 milioni necessari a garantire alle ex province siciliane parità di trattamento rispetto alle altre ex province d’Italia, principio anche questo contenuto nell’accordo. Ma la beffa più colossale sta che a finanziare queste misure è la stessa Sicilia, rinunciando a 140 milioni di euro del fondo sviluppo e coesione finalizzato alla realizzazione di infrastrutture”, Quelle stesse infrastrutture che oggi versano in condizioni deprecabili. Il cerchio si chiude. E non ci resta che piangere.