All’appuntamento del 18-19 giugno, in cui Nello Musumeci farà il tagliando ai primi tre anni e mezzo di governo (è prevista la partecipazione di tutti gli assessori), il presidente sarebbe voluto arrivare con qualche slides in più da mostrare. Ma le riforme, in questa legislatura, procedono a passo di lumaca. E non sempre quelle che vengono approvate all’Ars risultano epocali. Nel computo della maggioranza, che proverà a chiudere il cerchio entro metà estate, prima della sospensione dei lavori, ce ne sono un paio su cui si rischia di perdere il sonno: Edilizia e Rifiuti. Diventerà Bellissima proverà a dare la scossa. Ma il cammino delle due leggi, impantanate a palazzo dei Normanni da tempo immemore, è appeso a un filo. Specie quella sui rifiuti. Mentre di edilizia, dopo un primo, timido avvio di discussione, si tornerà a parlare già in settimana.

Per il momento, infatti, sono stati accantonati gli articoli più controversi: il 12 e il 20, quelli relativi alla doppia conformità e alla cosiddetta ‘sanatoria’. Che, secondo il Movimento 5 Stelle, “estende gli effetti del terzo condono, di berlusconiana memoria, alle aree a vincolo relativo, per intenderci quelle tutelate dal paesaggio o quelle a rischio idrogeologico”. Per Cordaro, l’assessore al Territorio e Ambiente, si tratta invece della riaffermazione della certezza del diritto. La polemica, a che a distanza di un anno continua a tenere banco come il primo giorno, appare insuperabile. Da qui la stasi. Anche l’ultimo tentativo, riproposto in aula tre settimane fa, è andato a vuoto. Con il presidente dell’Assemblea, Gianfranco Micciché, costretto a sospendere le operazioni. L’articolato è lungo 128 pagine e contiene 1.300 emendamenti.

Ci si aspetta un testo più snello, altrimenti l’iter di approvazione, con le continue richieste di voto segreto e le assenze nella maggioranza (che rappresentano un vizietto frequente di questa legislatura) rischiano di annacquarlo. Tra l’altro, un esperto ambientalista come Giampiero Trizzino, del Movimento 5 Stelle, riduce la portata ‘epica’ di questa legge, che non sarebbe altro che una modifica della ‘riforma edilizia’ già recepita dalla Regione nel 2016: “Alcuni deputati della maggioranza hanno proposto una serie di soluzioni improbabili che rischiano di paralizzare lo sviluppo della Sicilia o peggio di compromettere la tutela del suo territorio”, ha affermato Trizzino. Gli ha fatto eco il segretario del Pd, Anthony Barbagallo: “Siamo di fronte ad un governo che non è in grado di andare avanti, che litiga per qualche sanatoria e non è in grado di esitare norme elementari come nel caso della legge sull’edilizia, che consentirebbe di velocizzare i procedimenti e semplificare gli iter di approvazione delle pratiche edilizie”.

Anche la cosiddetta riforma dei rifiuti, in realtà, non è quella che sembra. Si tratta, semmai, di una riforma della governance, che non dovrebbe avere alcun impatto sulla chiusura del ciclo dei rifiuti, ossia la problematica che un mese sì e l’altro pure fa piombare l’Isola nell’emergenza. Non determinerà, cioè, quali impianti costruire (se discariche o termovalorizzatori), a chi affidarli (se al pubblico o al privato), né dove collocarli. A quello dovrebbe pensare il piano dei rifiuti, che la giunta regionale, dopo una lunga trafila tra Ministero dell’Ambiente e Cga, ha potuto adottare nell’aprile scorso. E che è già stato oggetto di slides da parte del presidente della Regione nel corso della conferenza convocata giovedì scorso a Catania. La legge in questione, invece, riguarda la governance: cioè chi gestisce il ciclo. Al momento se ne occupano le SRR – le società consortili dei comuni, spesso presiedute dai sindaci – che alcuni chiedono di trasformare in soggetti di diritto pubblico, e altri di incorporare nelle nuove Ada (le autorità d’ambito). E poi si discute della perimetrazione delle Ato (ambiti territoriali ottimali), che secondo una sentenza della Corte dei Conti non dovrebbero essere più di cinque, ma ci si impunta a far coincidere con le ex province.

Siamo al punto che Miccichè ha richiesto una riscrittura del testo, e che Giusi Savarino, presidente della IV commissione, dopo aver difeso il lavoro dei colleghi, ha proposto una mediazione per uscire dall’impasse: “Gli interessi in campo sono tanti, la questione è rognosa e non è facile accontentare tutti, dato che dobbiamo rimetterci alle indicazioni fornite da Anac e Corte dei Conti”. Non sono bastate 34 riunioni di commissione, i quattro processi di revisione al testo originario, e la figuraccia del novembre 2019, quando la riforma approdò in aula e venne clamorosamente stoppata all’articolo 1 grazie al lavoro combinato di opposizione e franchi tiratori. Questo rivela che non c’è la volontà politica di fare la riforma. E di questo passo sarà difficile arrivare a un compromesso. L’on. Savarino, però, si è portata avanti col lavoro: “In attesa di copertura finanziaria” in commissione Bilancio, ha preannunciato, ci sono “altri importanti disegni di legge della nostra commissione: uno disciplina l’uso irriguo delle acque reflue trattate, essenziale in agricoltura e per evitare spreco di risorse; un altro attiva le comunità energetiche in Sicilia, e saremmo antesignani sul tema della transizione energetica; un ultimo su cui teniamo molto in questo periodo, crea un fondo a tutela della prima casa”.

Ma altre leggi organiche, che Musumeci aveva promesso di adottare, per il momento sono rimaste carta straccia: la riforma del turismo, ad esempio, sembrava quasi pronta alla fine del 2020 (“Ci lavoriamo da un anno e siamo alla fase conclusiva” spiegava l’assessore Messina a Travelnostop), ma è tuttora avvolta nel mistero; come quella, fondamentale, della pubblica amministrazione. Un altro degli aspetti ‘vincolanti’ dell’ultimo accordo Stato-Regione, che palazzo d’Orleans fa cenno di apprezzare nel piano di rientro dal disavanzo approvato dall’Ars durante la sessione finanziaria: “In merito alla dirigenza regionale – si legge nel documento – è in corso di elaborazione un apposito disegno di legge finalizzato a ridisciplinare, a distanza di vent’anni dall’emanazione della legge regionale 10 del 2000, l’ordinamento della dirigenza della amministrazione regionale siciliana, eliminando le criticità determinate dal mantenimento della cosiddetta terza fascia dirigenziale e allineando, al contempo, l’ordinamento della dirigenza a quella di tutti gli enti del comparto funzioni locali, attraverso la previsione di un’unica fascia dirigenziale”.

Il recepimento delle direttive in materia di dirigenza pubblica consentirebbe alla Regione di riqualificare il personale dirigenziale – quasi tutto di terza fascia, e quindi senza le carte in regola per aspirare ai ruoli apicali dei dipartimenti – e, al contempo, di regolarizzare la propria posizione agli occhi della Corte dei Conti, della magistratura ordinaria e dell’erario, mettendosi al riparo da controversie che potrebbero innescarsi a causa del conferimento irregolare di taluni incarichi (come avviene, con estrema nonchalance, da vent’anni a questa parte).  L’assessore alla Funzione pubblica, Marco Zambuto, ha già chiesto al governo nazionale e agli uffici del Ministro Brunetta di apparecchiare la tavola per la discussione. Ma la buona volontà di un assessore, dopo tre anni di mutismo sul tema, non è la miglior garanzia perché qualcosa accada.

D’altronde, manca poco più di un anno alla fine della legislatura, e Musumeci non crederà certo di poter onorare tutti gli impegni assunti in campagna elettorale. Sebbene il governatore abbia più volte specificato di potersi ricandidare solo al raggiungimento di determinati obiettivi, le fughe in avanti delle ultime settimane vanno in direzione opposta. Rappresentano il tentativo di ricandidarsi comunque: metterla sul piano delle promesse mantenute rischierebbe di mandare all’aria il progetto.