Draghi è il governo che non c’è: evocato, temuto, strumentalizzato, ma il governo Draghi non c’è. Non è alle viste, né nei propositi dei due protagonisti che potrebbero costruirlo, Mattarella e Draghi stesso.

A Draghi pensa Matteo Renzi per disarcionare l’odiato Conte, sospettato di voler fondare un partito destinato a fare a polpette i cespugli del centro-sinistra. Anche Salvini parla di Draghi perché Giorgetti gli ha spiegato che conviene così. Il resto è riflesso condizionato: governo Draghi perché ricorda Ciampi, un po’ Dini, un po’ Monti, nelle curve pericolose della repubblica c’è sempre un tecnico della Provvidenza. Stavolta non sarà così. E le ragioni le spiega bene chi conosce Draghi. L’ex governatore non è una riserva della repubblica alla Ciampi, né un tecnico alla Monti, né un gran commis alla Dini. Draghi viene dalla grande scuola di Bankitalia, ma anche da una discreta frequentazione della serie A democristiana della prima repubblica, da Andreotti a Goria. Ha cultura politica, insomma. E l’ha dimostrata tutta nel governo della Bce, performance inimitabile nella quale si è palleggiato i tedeschi e i partners europei come ha voluto. Ha i fondamentali, insomma .I suoi meriti storici sono già tutti scritti, non c’è bisogno di una riga in più nel curriculum, foss’anche un giro a palazzo Chigi. E poi che giro: con addosso le mani di partner convinti di avercelo portato loro, e dunque esigenti, incalzanti.

Draghi sa che dovrebbe governare con gli stessi partners di Conte: i Cinquestelle, l’Italia viva, le bande del Pd, in più Salvini renitente alla leva e portato a fatica da Giorgetti, ma per quanto tempo? E secondo voi uno chiamato superMario si butta in una avventura del genere? No che non lo farà. Si dirà che glielo chiederà l’Europa, glielo chiederà Mattarella. No che non glielo chiederanno. All’Europa la faccenda non può importare di meno: sono abituati a convocare elezioni e celebrarle in un mese, e ci hanno visto votare un referendum in piena pandemia. E nemmeno Mattarella scomoderà Draghi. L’attuale presidente non è Scalfaro né Napolitano. Non ha il gusto del potere e della scena. E’ un democristiano gramsciano, nel senso di attento al concetto di ‘forze in campo’. Sa che la destra è prevalente nel Paese, e gramscianamente la considera una forza con cui bisognerà fare i conti. Non la fermerà. Non frapporrà ostacoli al cimento di governo di un blocco che forse intimamente non stima, ma considera inesorabile. Andrà così, signori e signorini della discioglienda maggioranza: ve ne andrete a casa tutti invocando Draghi e governi di coesione, trascinerete con voi nel baratro un bel pezzo di moderatismo forzitataliota e alle elezioni l’Italia si dividerà tra sovranisti (tanti) e piddini (assai meno). E se col rosatellum bis nemmeno ci sarà una maggioranza? Ecco, a quel punto arriverà Draghi. Ma nel prossimo parlamento. (tratto dall’Huffington Post)