L’unica occupazione del governo regionale è cercare di far quadrare i conti. Ne hanno ben d’onde il presidente Musumeci e l’assessore Armao, se non fosse che la situazione è davvero disperata. Nemmeno l’ultima Finanziaria di cartone, dipinta come la più “generosa” di sempre (vale circa 1,5 miliardi), può essere sbloccata. La Regione, da qualche mese a questa parte, si è ridotta a spendere in dodicesimi. Prima per la proroga dell’esercizio provvisorio, che consentiva una spesa pari a quella prevista del Bilancio dello scorso anno; ora perché, a due mesi dal via libera alla Legge di Stabilità, non sono ancora arrivate le necessarie autorizzazioni per liberare le risorse. Il Bilancio è ingessato, la disponibilità è ridotta all’osso (non sfugga che ogni anno, per dieci anni, la Regione deve accantonare cifre ingenti per rientrare dal disavanzo con lo Stato) e servirebbe un miracolo per permettere alla Sicilia di tornare a camminare. Pretendere che cominci a correre è un po’ troppo.

L’arte di Palazzo d’Orleans – dal capo di gabinetto di Musumeci, passando per la Ragioneria generale e i vari dipartimenti – è rintuzzare a destra e manca e non far girare il motore a vuoto. Ma la coperta è sempre troppo corta. Per garantire il ripianamento dell’ultimo deficit, che servirà da un lato a garantire il contributo alla finanza pubblica dello Stato (valore: un miliardo l’anno) e dall’altro a “mantenere in vita” città metropolitane e liberi consorzi, si è dovuto provvedere a un taglio secco di 140 milioni destinati a 41 progetti inseriti nel Piano per il Sud: ossia un elenco di iniziative (di contrasto al dissesto idrogeologico, ma anche infrastrutture e beni culturali) che di fatto vengono cancellate e, nel migliore dei casi, posticipati alla futura programmazione europea. Per garantire lo sblocco della prima tranche della Finanziaria – 399 milioni – si è avallata più o meno la stessa operazione: mandare in soffitta alcuni interventi destinati a porti e ferrovie (e non solo quelli) e investire le somme corrispondenti sulla spesa corrente per imprese, famiglie e operatori economici. Con una particolarità: non si sa quanto tempo servirà per erogarle.

La Finanziaria d’emergenza anti-Covid, che ha passato la prova di Sala d’Ercole lo scorso 2 maggio, è ancora scritta sulla sabbia. Persino le ultime corse del governo rischiano di servire a poco se Roma non dovesse concedere il nulla-osta al documento di riprogrammazione delle risorse, che fra l’altro non è ancora giunto all’attenzione del Ministro Provenzano e del dipartimento alla Coesione territoriale. Anche se, dalle prime bozze, si vocifera di qualche violazione del regolamento comunitario. L’Europa c’entra perché i soldi rimodulati da Musumeci & Co. appartengono al capitolo dei fondi Fesr, quelli di sviluppo regionale, e pertanto deve essere l’Unione a stabilire se la procedura di smistamento da un capitolo di spesa all’altro segue le regole oppure no. Su questo elemento, però, dalla Regione rassicurano. Resta il dato di fondo: prima di rendere le somme disponibili, servirà un parere delle commissioni Bilancio e Affari europei dell’Ars (entro la prossima settimana), la valutazione di Provenzano e una delibera del Cipe. Sperando che non ci siano intoppi. Lo stesso Armao prega che l’iter si concluda prima dell’estate, quando l’emergenza sarà andata a farsi friggere.

Ed è proprio questo l’abbaglio: pensare di utilizzare queste somme per una congiuntura  che, inesorabilmente, diventa sempre più drammatica. Ad esempio, le aziende e le cooperative sono ancora in attesa del contributo a fondo perduto da parte della Regione (fino a un massimo di 8 mila euro), da scorporare rispetto ai prestiti ottenuti da Fidi e banche. Ma chi ci dice che molte di queste imprese non abbiano già fallito o non falliranno da qui alle prossime settimane? Da qui l’eterna illusione… Anche se la stessa Regione è consapevole che quanto fatto in sede di Finanziaria è solo una minima parte rispetto alle esigenze di milioni di siciliani. Stato ed Europa sarebbero dovuti intervenire in modo più massiccio. Ma anche in quel caso dei tanti soldi promessi, non si vedono che le briciole.

Oltre a inseguire i risultati “parziali” come lo sblocco della Finanziaria, Palazzo d’Orleans deve guardare oltre. Ne ha il sacrosanto dovere, o la crisi dell’economia, e il gap rispetto al resto del Paese, rischiano di travolgerci nel giro di poco tempo. Per questo, dopo un travaglio durato alcuni giorni, Armao ha pubblicato il nuovo documento di economia e finanza (da cui emergono le previsioni catastrofiche riguardo al Pil: -7,8%), in cui, per i “pesanti effetti della pesante crisi economia post-pandemica” ci “si limita a previsioni di brevissimo termine”. Manca, infatti, la “parte relativa agli interventi per le aree svantaggiate”. Nel Defr, inoltre, viene fatto rilevare “un aggravamento della già persistente precarietà sociale con effetti inibitori sul desiderio di avvenire”.

Sul piano degli investimenti infrastrutturali il Documento illustra “un divario inaccettabile” rispetto al resto d’Italia “e che la crisi economica post-pandemica, in assenza di correttivi, a partire da opere di rilevanza strategica come il Ponte sullo Stretto, accentuerà pesantemente”. Tra le venti progettazioni di interventi strategici emergono gli itinerari trasversali “ Nord – Sud SS117” (da Gela a Santo Stefano di Camastra), “Palermo–Agrigento SS 121 e SS 189” e “Tangenziale di Gela e di Palermo”. Ma si tratta, come ovvio, di idee quasi avveniristiche per un’Isola che si muove lenta come una tartaruga. E che nel corso dell’ultimo esame di maturità – la riprogrammazione del Fesr e del Patto per la Sicilia – ha saputo soltanto “tagliare”. Non si capisce quale sia il senso di questa coraggiosa inversione.

Musumeci, come Armao d’altronde, sanno meglio di chiunque altro che siamo di fronte ad anni di galleggiamento. Dove i voli pindarici sono proibiti e i continui accenni allo Stato – dalla vertenza con Anas alle critiche ad Alitalia – suonano come una disperata richiesta d’aiuto, più che un tentativo di accendere una rissa. La Sicilia da sola non ce la fa e non ce la potrà mai fare. Il Bilancio è asfittico e pieno di contraddizioni, e nemmeno le numerose operazioni-verità richieste dal governatore (che aveva chiamato persino una ditta esterna, la Kibernetes, per fare pulizia nei conti) sono mestamente naufragate. Altrimenti non si spiegherebbero gli ulteriori milioni regalati con la Legge di Stabilità alle cosiddette società partecipate, che stanno ampliando a dismisura il capitolo degli sprechi.

Fra l’altro non è nemmeno la stagione dei saldi: al netto della possibilità di poter spalmare il disavanzo in dieci anni (anziché tre), al mercatino delle pulci di Palazzo Chigi la Sicilia non è riuscita a ottenere trattamenti di favore: non il riconoscimento della piena autonomia finanziaria (come richiesto in un tavolo al Mef, prendendo spunto dall’applicazione dello Statuto regionale), né la possibilità di sospendere – con una pandemia in corso – il contributo regionale alla finanza pubblica. Né, tanto meno, di poter trattenere i soldi delle accise o di vedersi riconosciuto lo svantaggio dell’insularità. Niente. Due anni e mezzo di trattative a vuoto. Anche se nel corso dell’ultimo summit con il ministro Gualtieri – il primo appuntamento ufficiale da quando si è insediato il Conte-due – un pochino di ottimismo è emerso.

Entro la fine dell’autunno, inoltre, la Corte dei Conti dovrà procedere a un nuovo giudizio di parifica per scovare eventuali, nuovi disallineamenti nel bilancio regionale. Quello effettuato l’anno scorso, di cui i giudici relazionarono alla presenza di Nello Musumeci, fu catastrofico: addirittura bloccò l’approvazione del “collegato” della commissione Lavoro, di cui si era cominciato a discutere all’Assemblea regionale. Non c’era un euro. Di soldi non ce ne sono neanche adesso. Anche se una rilevante boccata d’ossigeno potrebbe arrivare dalla matrigna Roma nelle prossime settimane, non appena verrà convertito in legge il decreto Rilancio: prevede 2,5 miliardi per le regioni a statuto speciale, nel tentativo di far fronte alle mancate entrate del periodo Covid. La quota spettante alla Sicilia è di 798 milioni di euro. Non ci risolvi tutti i problemi, ma è un bel gruzzolo. E di treni, in questa fase, non ne passano tanti.