La tempesta è passata, ma l’eco di quella sfuriata non s’è ancora diradato. A breve potrebbe esserci un seguito: le opposizioni hanno chiesto una seduta d’aula per un focus sulla crisi di governo. Nel frattempo, però, Claudio Fava analizza la performance del governatore, uscito umiliato dal voto di Sala d’Ercole per la scelta dei tre delegati che parteciperanno all’elezione del Capo dello Stato. ‘Performance’ non è una parola a caso: “Musumeci è un retore – attacca il deputato dei Cento Passi, che è anche presidente della commissione Antimafia -. Ha utilizzato anche stavolta tutte le arti della retorica dannunziana: cioè indicare un punto all’orizzonte, un obiettivo fulgido per le sorti della patria, e poi tornarsene al Vittoriale”.

Non crede a nessuna delle sue parole? Il governatore ha parlato anche di “atti intimidatori” nei suoi confronti da parte di alcuni deputati.

“Non metto in discussione che abbia ricevuto richieste di attenzione, benevolenza e qualche cortesia. Ma far passare tutto questo come l’unica ragione della bocciatura subita in aula, mi sembra da una parte un esercizio di retorica, dall’altra una fuga dalla realtà. La realtà, da diversi anni, dice che questo presidente non ha più una maggioranza: non perché ci sia un complotto demoplutogiudaico ordito ai suoi danni, ma perché l’ha persa strada facendo”

Perché l’ha persa, secondo lei?

“Perché ha un pessimo carattere, perché ha governato male e col fez in testa e tutto questo ha prodotto lacerazioni, divisioni, diaspore che si sono ritrovate – compatte – nel voto contro di lui”.

Prima di lanciare improperi sui social, aveva parlato di un’offesa all’istituzione.

“Ma perché mai? Dov’è scritto?”.

La prassi politica prevede che il presidente della Regione non finisca terzo tra i delegati del Quirinale, ma qualche casella più in alto.

“La prassi politica prevede che dei tre delegati, uno vada alla minoranza. Questo è il principio da rispettare. Poi, il presidente dell’Assemblea rappresenta l’Assemblea, mentre il presidente della Regione rappresenta solo la sua maggioranza. Quel voto ha una connotazione politica. Che la maggioranza debba sempre scegliere il governatore, anche quando non è amato, o è stato un pessimo presidente, non mi pare una prassi ma una forzatura. Un millantato credito. Anche Crocetta ebbe molti meno voti di quelli che si aspettava: non lo considero un insulto alle istituzioni, bensì un giudizio di disistima politica”.

Quale sarebbe stato l’esito più dignitoso di questa storia?

“Musumeci è tanti personaggi in uno, è tante parti in commedia. Il suo primo impulso sembrava quello del beau geste: dimettersi. Poi lentamente è prevalsa la saggezza dell’uomo politico sin troppo navigato; uno abituato a stare al riparo dei porti e non soltanto in mare aperto. Musumeci è uno che tuona contro le pastoie di una politica corrotta dall’affarismo, e poi come primo atto politico della sua presidenza va a rendere omaggio a Montante in Confindustria. Cosa che risulterà vera finché non verrà smentita formalmente”.

Dal suo punto di vista il governo Musumeci ha fallito per la pavidità del suo capo o per un’azione politica insufficiente?

“La pavidità sta dentro un giudizio umano, che può anche essere circonfuso di benevolenza per attenuare i toni. Il giudizio politico no. Vede, il governo ha fallito per aver completato solo 95 posti letto di terapia intensiva sui 571 previsti; perché abbiamo chiuso e riconvertito dei reparti senza alcuna capacità di prevenzione e organizzazione della macchina sanitaria; perché l’80 per cento di ciò che andava fatto oggi è un cantiere a cielo aperto, nonostante avessimo il doppio delle risorse rispetto alla Lombardia”.

Il giudizio complessivo, però, non può essere tarato su un aspetto così complicato e inaspettato come l’emergenza sanitaria…

“Questo governo presenta un bilancio fallimentare dal punto di vista della forma e della sostanza. Musumeci potrà pensarla diversamente, ma oltre che recitare monologhi apodittici in cui cita se stesso sull’attenti, dovrebbe accorgersi che nessuna delle riforme promesse in campagna elettorale è stata – non dico approvata – ma nemmeno portata al giudizio, alla discussione e al voto dell’aula. Pubblica amministrazione: zero. Enti inutili: zero. Ciclo dei rifiuti: zero. Inoltre, quattro bilanci su quattro sono stati approvati fuori dai termini di legge. E sta per arrivare il quinto. Cosa ci lascerà questa legislatura oltre all’ego vanaglorioso e vanitoso delle molte opere da realizzare? E mi lasci dire un’altra cosa…”.

Prego.

“Io ricordo l’unica – nonostante la legge preveda che venga fatta ogni anno – relazione del presidente sul suo operato. Era un elenco telefonico, la compilazione minuziosa di tutto ciò che la giunta aveva fatto: il numero delle lampadine sostituite, quello dei chiodi piantati. In sessanta pagine di manutenzione ordinaria, non c’era un solo punto politico qualificante. Credo che i suoi deputati si siano pronunciati anche su questo, e non soltanto sulla base dei rancori personali”.

C’è una via praticabile per lasciarsi alle spalle questa crisi di governo, o verrà annacquato tutto?

“Musumeci è un pavido, non si dimetterà mai. L’unico atto di decenza sarebbe restituire la parola agli elettori affinché ciascuno possa giudicare com’è stato questo governo e quali sono le proposte alternative. Ci si arriverà a ottobre”.

Resta in campo l’ipotesi di un azzeramento della giunta.

“E’ tutta una manovra politica. Più che azzeramento parlerei di rimpasto: ‘qualcuno lo tengo, qualcuno lo cambio’. Un’operazione molto dorotea, che non è nobiltà politica e nemmeno bonifica. Ma soltanto un rimpasto”.

Come delegata per il Quirinale lei aveva proposto una sindaca: Maria Terranova. Perché non è andata in porto?

“Era complicato dal punto di vista dell’applicazione dei regolamenti parlamentari, anche in riferimento a ciò che era stato fatto negli altri consigli regionali. Pertanto, dopo aver sentito il presidente Micciché, si è ritenuto fosse più normale procedere votando i deputati dell’Ars. La scelta dell’on. Di Paola non fa una piega perché rappresenta il gruppo più importante dell’opposizione”.

Mattarella, nel suo discorso di fine anno, aveva tracciato l’identikit del suo successore. E anche molti leader politici hanno indicato la ‘statura morale’ come requisito fondamentale del prossimo Capo dello Stato. Cosa pensa dell’endorsement del centrodestra per Berlusconi?

“Mi auguro che da tutti coloro che l’hanno proposto e lo stanno accompagnando in questa avventura sia considerata una boutade. E non un’intenzione politica seria”.

Perché?

“Credo che ci siano figure che abbiano assai più senso, rigore e limpidezza istituzionale di quella espressa da Berlusconi. Che ha vinto le elezioni, ed è stato presidente del Consiglio dei Ministri. Il presidente della Repubblica, però, dovrebbe attenere a una diversa qualità politica e istituzionale. Non credo che la storia personale e politica di Berlusconi sia la più adatta”.