Matteo Salvini è partito sparato: nella prossima Legge di Bilancio sarà inserita una norma per riattivare la società Stretto di Messina spa, con dentro Anas, Rfi e le due regioni coinvolte, in liquidazione da nove anni. Da quando, cioè, il governo Monti fece calare una mannaia sulla realizzazione del Ponte più discusso di sempre. A tal punto da diventare una farsa. Eppure Salvini ci crede, anche se dovrà fare i conti con un altro interrogativo sciagurato (ma, secondo molti, reale): questo benedetto progetto del Consorzio Eurolink, il general contractor di cui faceva parte Salini-Impregilo (oggi Webuild), prevede l’attraversamento (sotto l’impalcato, ca va san dire) delle navi da crociera? O delle meganavi portacontainer dirette al porto di Gioia Tauro?

La risposta è nì. Almeno secondo alcuni studi. Nella prefazione al libro “Il mitico Ponte sullo Stretto di Messina” di Aurelio Angelini, docente di Sociologia dell’Ambiente e del Territorio all’Università di Palermo, si evidenziano alcuni dei motivi ostativi alla realizzazione dell’infrastruttura, tra cui “il fatto che il ponte – data l’altezza dell’impalcato prevista dal progetto – non consentirebbe il passaggio alle navi di più recente costruzione che raggiungono i 100 metri di altezza”. Anche il sottosegretario Edoardo Rixi, tra i più aperti alla realizzazione dell’opera, ha fatto emergere qualche scrupolo, pur ridimensionando la portata del dubbio: “È stato dimostrato – osserva Rixi a ‘La Sicilia’ – che il Ponte a campata unica progettato e già autorizzato dieci anni fa, con una “luce” di 76 metri, permette facilmente il passaggio delle meganavi portacontainer (la più grande è alta 72 metri con 9,5 metri di pescaggio), è più alto dei principali ponti fra cui quello di Suez che ha 70 metri, e in ogni caso l’impalcato potrebbe essere alzato senza allungare le due torri”.

Questo presupporrebbe, però, una modifica del progetto originario (che, diversamente, sarebbe cantierabile in sei mesi). Anche Salvini è costretto ad azionare la leva della prudenza. D’altronde, in materia di infrastrutture, non serve la gatta frettolosa che fa i gattini ciechi. Ma una visione lungimirante e concreta: “C’è un dibattito aperto sull’aggiornamento del vecchio progetto o sulla necessità di bandire una nuova gara – ha detto il vicepremier durante l’ennesimo intervento sul tema -. Sono assolutamente ateo e laico. A me interessa la realizzazione della nuova infrastruttura”. Tecnicamente, sottolinea Salvini, “non sarà semplice, va rivisto il piano economico e finanziario, va aggiornato il progetto”. Nel frattempo il segretario del Carroccio chiederà all’Europa di farsi carico di una parte del finanziamento dell’opera. Al buio, evidentemente. Gli auguriamo che ci riesca, anche se le resistenze da vincere sono numerose. Non soltanto quella ingegneristica relativa all’altezza dell’impalcato (per l’economia messinese privarsi delle navi da crociera sarebbe un suicidio).

Il primo passo, come detto, sarà risvegliare dal torpore la Stretto di Messina spa, costituita negli anni ’80 in attuazione di una legge del 1971 finalizzata a progettare, realizzare e gestire il collegamento stabile tra la Sicilia e il Continente. E’ quella che dalla sua fondazione, secondo una delibera della Corte dei Conti risalente al 2016, avrebbe speso 312 milioni di euro per selezionare le diverse ipotesi progettuali, scegliere la soluzione a campata unica, realizzare il progetto preliminare e definitivo corredato da tutti i pareri di legge e appaltarlo al Consorzio Eurolink. Dieci anni fa la SdM, quando il progetto era già nero su bianco, fu interpellata dal ‘Manifesto’ sul cosiddetto “franco navigabile”, cioè lo spazio che la nave può utilizzare per passare sotto un ponte (tra 65 e 70 metri nel caso di specie messinese). E diede ampie rassicurazioni, spiegando che solo la “Queen Mary 2” e le portaerei USA sono sicure di non passarci sotto, e che il Ponte “consente il passaggio di tutte le più moderne navi container e da crociera. Ed è in linea con i franchi navigabili dei ponti posizionati sui principali canali di navigazione internazionale”.

A distanza di così tanto tempo, forse, bisognerebbe aggiornare le riflessioni. E quasi certamente il progetto del ponte sospeso più lungo al Mondo, che prevede: una lunghezza complessiva di 3.660 metri, una campata unica sospesa di 3.300 metri, una larghezza di 61 metri e due torri alte 399 metri. I movimenti ‘pro ponte’ hanno adottato come manifesto (anti-fake) lo studio di un ingegnere, esperto di mobilità, trasporti e fondi SIE, Giacomo Guglielmo, che spazza via le convinzioni più retrograde: a partire della tenuta sismica dell’opera. Il Ponte, infatti, sarebbe “progettato per resistere, mantenendo la sicurezza e le condizioni d’esercizio, a un sisma di 7.1 Richter, che è la massima energia distruttiva che si può avere a Messina. Giusto per capire, il terremoto più forte stimato in Sicilia è stato quello di Catania del 1693, che ebbe un’intensità stimata di 7 Richter (fonte: INGV). Il terremoto del 1908 ebbe un’intensità inferiore”. Ma c’è anche la questione del vento, che fa temere una sospensione del traffico veicolare alle prime raffiche. Secondo l’ingegnere “il Ponte resiste a 91 metri al secondo di intensità del vento, ovvero 327,6 km orari. Velocità mai misurata al mondo. La velocità massima ma misurata sullo Stretto di Messina è di 140 km orari”. Con le condizioni di vento degli ultimi vent’anni, insomma, il Ponte non sarebbe stato mai chiuso.

Di queste teorie ce ne sono tante e variegate. Andranno valutate con cura. Così come quelle ambientaliste e animaliste, che paventano danni potenziali alle coste e ai flussi dei cetacei. Ma nel frattempo, smanioso di guadagnarsi le prime pagine, Salvini non guarda in faccia niente e nessuno, e fa leva sull’ottimismo dei due governatori (Schifani e Occhiuto) per proseguire dritto come un razzo. Promettendo nell’ordine: centomila posti di lavoro, l’apertura dei cantieri entro due anni (ne servono tra sei e sette per realizzarlo), e un costo complessivo di dieci miliardi, che “saranno ripagati in un anno e mezzo”. Come? Abbattendo, secondo il Ministro dei Trasporti, i costi dell’insularità, una tassa occulta che grava sulle tasche dei siciliani per 6,5 miliardi l’anno. O giù di lì.

Sembra un calcolo approssimativo, dettato più che altro dalla propaganda. Ma bisognerà pur partire in qualche modo. Lo studio di fattibilità commissionato, attraverso Italferr, dall’ex ministro Giovannini (costato 50 milioni) tarderà ad arrivare: la nuova deadline è fissata al 2024. Ma gli esiti sembrano interessare poco o nulla al governo nazionale, che non ha alcuna intenzione di valutare altre opzioni – come il progetto a tre campate – perché richiederebbero tempi molto più lunghi. Salvini ha voglia di bruciare le tappe, così nei giorni scorsi ha chiesto ai suoi parlamentari a Bruxelles di emendare la proposta di riforma dei corridoi Ten-T (la reti transeuropee dei trasporti integrati), presentata dalla Commissione europea, affinché preveda anche il collegamento stabile fra Messina e Villa San Giovanni. In questo modo sarà più facile giustificare la richiesta di compartecipazione al finanziamento complessivo dell’opera. Anche se prima bisognerà risolvere un enigma: le navi, lì sotto, ci passano?