C’è una legge incagliata nelle pastoie della burocrazia. Una legge, guarda caso, che mette in palio 10 milioni per “curare le ferite” inflitte dal Covid agli editori dei giornali, di carta e on line. Ma non solo agli editori, che in questi mesi hanno dovuto rivedere i processi “produttivi”, senza risparmiare sui costi e, anzi, assistendo all’ennesima contrazione delle vendite e della raccolta pubblicitaria. Bensì ai giornalisti, l’anima di questo mondo, molti dei quali finiti in cassa integrazione, e costretti a rapportarsi con un mestiere nuovo, in smart working, dannandosi il doppio per garantire l’accesso a un’informazione stabile e veritiera. Laddove, per altro, la comunicazione (sui social) rischiava di mandare tutti alla deriva, fra complottisti, no-vax e Angela da Mondello improvvisate.

Il mondo dell’editoria e del giornalismo non s’è arreso. I giornali cartacei, poi, si sono dovuti reinventare: puntando, ad esempio, su un rafforzamento delle campagne d’abbonamento digitale; abbandonando le redazioni classiche – per le regole del distanziamento sociale – e facendo spazio a una scrittura homemade, dal divano di casa. Tenendo dritta la barra morale di un Paese in difficoltà, stremato dai morti e dal virus. Forti di un riconoscimento collettivo, le edicole sono sempre rimaste aperte (come farmacie e supermercati) e la Regione siciliana – onore al merito – ha pensato di introdurre in Legge finanziaria un bonus da destinare agli editori. Dieci milioni a fondo perduto che l’Irfis, nell’ambito del Fondo Sicilia, avrebbe dovuto suddividere fra quotidiani cartacei (40%), iniziative editoriali cartacee di diversa periodicità (7%), iniziative editoriali online (25%), emittenti radiotelevisive (25%) e agenzie di stampa (3%). Era maggio. Questi soldi non si sono ancora visti.

La legge sull’editoria, come molte altre per la verità, sta lottando per tornare a galla. I milioni messi in conto dall’assessore all’Economia, da cui è giunta la prima proposta di decreto per regolamentare la norma (a settembre dello scorso anno), sono finiti nella seconda delibera di riprogrammazione dei fondi comunitari che il governo Musumeci ha inviato agli uffici del Ministro Provenzano (valore complessivo: quasi 1,3 miliardi) e su cui il Cipe ha espresso parere favorevole poco prima di Natale. Ha vissuto, come tanti altri bonus, quell’insopportabile (ma insopprimibile) rimbalzo di competenze fra un assessore e un funzionario, fra la politica e la burocrazia, fra Roma e Palermo, che finora ha prodotto il nulla. Zero. Tanto che ieri, dalle colonne de ‘La Sicilia’ di Catania, è arrivato un attacco frontale nei confronti di quei decisori che non ne vogliono sapere di onorare le promesse. E di superare la sindrome dell’annuncite in cui sono sprofondati.

Così, in un fondo pubblicato in prima pagina e intitolato “La crisi, la burocrazia e l’informazione libera e indipendente”, il gruppo editoriale Sanfilippo ha rimarcato il “ruolo di difesa della verità e della democrazia riconosciuto ai giornali intanto dal Capo dello Stato e riscontrata nei fatti”. Ma ha anche polemizzato sul fatto che dei soldi promessi dalla Regione “non s’è visto un solo centesimo” a causa di un “rimpallo di responsabilità tra chi è titolare dell’indirizzo politico e chi dell’attuazione burocratica della norma”, convenendo, però, su un fatto: che questa “lunghissima gestazione” fa “a pugni con la logica, oltre che con le esigenze delle imprese”. Editoriali, ma non solo editoriali. Se pensiamo, ad esempio, che quelle del distretto Meccatronica, che hanno convertito la produzione per garantire i presidi medici necessari, siano ancora in attesa dei 40 milioni previsti, ahi noi, dalla solita Finanziaria di cartone. O ai medici, “i nostri eroi”, che restano in attesa del bonus da mille euro. E che dire degli agricoltori, dei pescatori, degli operatori turistici. Persino delle famiglie indigenti. Che si sono fidati dell’esecutivo, e oggi pagano un conto salatissimo. Senza un cenno da parte del governo.

Premesso che non è compito delle imprese scendere nel dettaglio delle lunghe, immense trafile burocratiche – potrebbero fregarsene e avere comunque ragione – le domande sono un paio, semplici semplici: questi soldi ci sono? Se sì, quando verranno erogati? Musumeci e Armao non rispondono. Preferiscono rifugiarsi a Pergusa per decidere della prossima Finanziaria – quella che per un’assurda convergenza astrale rischia di rappresentare l’ennesimo buco nell’acqua – dimenticando di rispondere ai quesiti ingombranti del passato più recente. Perché la legge sull’editoria rimane ferma? “Per inefficienze burocratiche – si chiedono gli editori de ‘La Sicilia’ – per beffarda mancanza di coperture, per tenere tutti dietro la porta, mentre si avvicinano tornate elettorali?”. L’Amministrazione regionale ha l’obbligo di fugare questi dubbi. Ha il dovere morale di garantire pari condizioni d’accesso alle somme (in)disponibili. Ha l’obbligo di abdicare all’equivoco che essa stessa sta pian piano generando: catalogare gli organi di stampa secondo la logica dei figli e dei figliastri. Per l’editoria, che è sulla via del logoramento da ben prima del Covid, è una questione di sopravvivenza.

Ecco perché, come ha sostenuto in passato l’onorevole Claudio Fava (Cento Passi), “i criteri per l’erogazione dei fondi regionali all’editoria vanno rivisti. Occorre pretendere il mantenimento dei livelli occupazionali; in caso contrario rischieremmo di privilegiare testate ed editori che stanno riducendo il personale o di non sostenere chi valorizza le professionalità locali”. Una proposta che il governo ha puntualmente cestinato. Anche nell’ultima riformulazione del decreto – i requisiti dell’ammissibilità e i criteri per la determinazione dell’agevolazione sono illustrati all’articolo 2 – non cambia quasi nulla rispetto alla prima versione, se non la garanzia di partecipare al bando alle agenzie di stampa che non hanno sede in Sicilia, bensì vi operano. Per il resto, chi vorrà fregiarsi del contributo, dovrà aver prodotto un notiziario regionale sulla Sicilia “da almeno un anno dalla data di entrata in vigore” della Finanziaria; dovrà avere un collaboratore attivo da almeno 12 mesi dalla presentazione dell’istanza (ma l’Irfis non ha ancora pubblicato gli Avvisi); dovrà essere registrato presso un tribunale e avere un direttore responsabile iscritto all’Ordine.

La misura dell’agevolazione, inoltre, sarà determinata secondo alcune modalità: ad esempio, il numero dei collaboratori, i dati di diffusione, il numero delle province in cui vengono distribuiti i prodotti editoriali (per i cartacei) o i servizi informativi (per le testate online). Criteri “freddi” che non tengono conto di elementi più “alti”. Dei sacrifici fatti per tenere in piedi una redazione, per superare la nuova moria di vendite o inserzionisti pubblicitari (anche a causa del Covid). O per garantire, si è già detto, i livelli occupazionali: “In questo settore come in tutti gli altri – diceva Claudio Fava – è centrale l’esigenza che gli aiuti alle imprese siano collegati alla difesa e al mantenimento dei posti di lavoro, altrimenti non se ne comprende la ratio”.

Poiché nessuno del governo, fin qui, ha preso in considerazione questi interrogativi, sarebbe lecito che qualcuno bussasse nuovamente alla porta: la commissione Antimafia? La Corte dei Conti? O, perché no, qualche deputato dell’opposizione o della stessa maggioranza che, con ben altro spirito, aveva contribuito all’approvazione di quella norma? E’ mai possibile che in una Regione così fortemente legata agli sprechi e alle clientele, venga ricondotto tutto quanto – è già avvenuto in passato, ad esempio con lo scandalo di Sicilia Patrimonio Immobiliare – alla palude? O nel migliore dei casi, alla prescrizione? Serve trasparenza. Il presidente Musumeci, di Catania come il quotidiano “La Sicilia”, ha l’obbligo morale di dare una risposta. Per non cadere anch’egli nella trappola.