Una volta la gente moriva e basta, chi restava piangeva; al limite c’era una vedova da andare a visitar, cantavano Dalla e De Gregori. Si moriva e si usciva di scena, com’è giusto che sia e pace all’anima sua.

Una volta non c’erano i social, e non c’erano corvacci a rivendicare paternità e familiarità, ad appropriarsi della vita di chi non c’era più (“io lo conoscevo bene”), a mettere il cappello sulle morti. Non c’erano gare su chi arriva prima, non c’erano traguardi da tagliare. La morte non aveva colore, o se lo aveva la cosa restava in mezzo alle chiacchiere di quattro amici al ristorante, o al bar, un bicchiere dietro l’altro, non sulle prime pagine dei giornali, sui titoli del tg.

Una volta quando moriva un carabiniere il lutto aveva la dignità del silenzio e del dolore, non la sguaiatezza di comari mestruate travestite da politici e un assassino era un assassino a prescindere dal colore e dal passaporto, che mi importa se sei un americano bastardo e drogato o un nero arrivato la sera prima col barcone.

Una volta davanti a un morto avevamo la dignità e il decoro che questa smania di protagonismo – dal paladino anticamorra a un tanto a editoriale all’analfabeta belante – ci ha tolto, fino a relegare la morte di un carabiniere sposato da 45 giorni a un episodio minore rispetto a tutte queste stupide galline che, proprio su questa morte, si azzuffano per niente. Battiato lo cantava già quarant’anni fa e Facebook neanche c’era, per quello lui un genio e noi arranchiamo, sempre un passo indietro, sempre in goffo ritardo.