“Uno sbirro nato”, avrebbe detto Sciascia. Come il leggendario capitano Bellodi de Il giorno della Civetta. Succede, quando l’uniforme è vocazione, attitudine a investigare, attenzione ai dettagli, capacità di leggere uomini e cose, di concatenare fatti avvenuti nel tempo per avanzare deduzioni basate su criteri oggettivi. Succede, se si mettono ragione ed etica al servizio della giustizia.
Anche nella scrittura Giuseppe Governale è fedele a se stesso: generale dei carabinieri, una vita trascorsa nella trincea della lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo, con incarichi operativi sempre più complessi, fino ad assumere nel 2015 il comando di una struttura d’élite dell’Arma come il Ros e a dirigere la Direzione investigativa antimafia dal 2017 al 2020.
Ha lasciato il servizio attivo, Governale, ma non ha smarrito il “gusto per la verità” della lezione di Sciascia, nelle cui pagine Governale si specchia fino a saperne declamare lunghi brani a memoria. Così il generale ha finito per indirizzare il suo “credo civile” verso la letteratura, l’analisi dei testi, la verifica delle fonti storiche. Con “tenace concetto” derivante da un’esperienza professionale e umana fuori dal comune. Come uno che sa per mestiere che la giustizia può essere “strazio o riscatto”. Che può oscillare tra la difficile e solitaria ricerca della verità di Bellodi e i comportamenti abietti di Matteo Lo Vecchio, “sbirro infame” realmente vissuto a Palermo tra il XVII e il XVIII secolo, odiato da tutti, assassinato nel 1719 e abbandonato “in fondo a un pozzo secco, accanto al cadavere dello Stato”.
Così, nel giro di un anno Governale ha dato alle stampe due volumi, entrambi testimoni della sua lettura di Sciascia e della sua conoscenza della storia letteraria e civile d’Italia, entrambi pubblicati da Zolfo editore. Il primo è, appunto, Gli sbirri di Sciascia, dell’ottobre 2024. Il secondo, appena uscito, si intitola: Radici di mafia, dai bravi manzoniani ai picciotti dei Florio ed è un testo ben documentato sulle origini della mafia e sull’amministrazione della giustizia in Sicilia, a Napoli e in Lombardia a partire dal Seicento, quando questi territori erano pertinenza della Corona di Spagna.
Come un capitano di giustizia del Siglo de Oro, Governale affronta un viaggio in quei territori lungo tre secoli. Narra con stile chiaro e affabulatorio i prodromi della malavita organizzata, le zone d’ombra nel rapporto con lo Stato, le ragioni profonde della persistenza del fenomeno mafioso. Un viaggio che documenta come il potere criminale sia stato fecondato e si sia, poi, incistato nel vuoto lasciato dalle istituzioni, nell’assenza dello Stato. Alimentandosi, invece, della presenza di classi dirigenti colluse o, quanto meno, impotenti. A dimostrazione che “la legalità è un fatto di coscienza prima che di codice”, come diceva Sciascia.
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Giuseppe Governale
RADICI DI MAFIA
dai bravi manzoniani ai picciotti dei Florio
Zolfo editore Milano
2025, pagine 230, euro 18.00


