Il tempo dei “pontieri” è finito. Ora serve quello dei pompieri. I livelli di tensione fra lo Stato e la Regione inducono a riflettere: chi ci guadagna? Al momento nessuno. Sebbene il clima da campagna elettorale – si gioca il 28 aprile per le Comunali e un mese dopo per le Europee – giustifichi le stilettate, immobilismo e veti incrociati non sono ammessi. Soprattutto su alcune questioni infuocate che rischiano di diventare un’onta per la Sicilia. Ad esempio il destino delle ex province, lasciate a marcire in attesa che nuove elezioni di secondo grado le ripopolino di poltronisti. O dei rifiuti, che imperversano più sulle strade che nei pensieri “reali” delle istituzioni.

Pontieri e pompieri, c’è il gioco di parole ma anche il nesso. Sono passati pochi mesi, sembrano ere geologiche, da quando il luogotenente di Musumeci, leggasi assessore alla Sanità Ruggero Razza, forse turandosi un po’ il naso, cercò di imbastire un dialogo con la truppa cammellata dei grillini. Non perché covasse una certa simpatia: ma perché sembrava necessario apparecchiare un red carpet che convincesse i due governi, e i rispettivi rappresentanti, a venirsi incontro. Facendo sponda sulla Lega, partito di lotta e di governo sia a Palermo che a Palazzo Chigi. E sembra ancora più distante l’epoca in cui Giancarlo Cancelleri, portavoce a 5 Stelle e vice-presidente dell’Ars, offrì un accordo a Musumeci. “Porta una penna e un foglio bianco, scriviamo insieme un programma per la Sicilia” disse il leader grillino, ricevendo picche in cambio. Oggi Cancelleri, a quel governatore cui aveva provocatoriamente ammiccato, riserva trappole e imboscate. Beccandosi, a ogni giro, una reazione uguale e contraria.

“Voi dovete sapere chi sono i nostri oppositori e con chi abbiamo a che fare ogni giorno. Si tratta di gente incompetente, faziosa, che reputa prioritari gli interessi del partito rispetto a quelli della comunità”. E’ il passaggio finale del messaggio di Nello Musumeci al Movimento 5 Stelle, poche ore dopo la notizia della bocciatura del piano dei rifiuti della Regione. Confezionato alla vigilia di Natale dopo vent’anni di vuoto legislativo preoccupante. Ciò che Pierobon, l’assessore all’Energia, non ha avuto la forza di ammettere fino in fondo (“Le osservazioni del Ministero sono ben accette”), è apparso candido nelle parole del governatore: questi, a Roma, ci mettono il bastone fra le ruote. Il riferimento è al ministro Costa e a tutto il governo gialloverde. La parte gialla è quella con cui il dialogo si sta rivelando impossibile.

IL PIANO DEI RIFIUTI

Trentacinque pagine di “controdeduzioni” tecniche hanno finito per smontare il piano della Regione. Il Ministero – anche se Costa, poi, si è visto costretto al passo indietro – ha persino imposto a palazzo d’Orleans di inserire all’ordine del giorno la realizzazione di almeno due inceneritori nell’Isola. Doppio smacco: al governo regionale, che l’ipotesi comunque non l’aveva mai esclusa; e alla filosofia dei 5 Stelle, costretti a inventarsi una gloriosa messinscena (“Tutta colpa dei tecnici del Ministero”) per uscire dall’angolo. Il dipartimento regionale si è rimesso all’opera per correggere le lacune – anche sintattiche e grammaticali – contenute nel testo originario, ma passeranno settimane, mesi (visto che andrà ri-controllato per filo e per segno) affinché possa essere approvato e pubblicato in gazzetta. I rifiuti, intanto, continuano ad aumentare; le discariche si fanno sature; l’emergenza è sempre dietro l’angolo.

INFRASTRUTTURE E COMMISSARI

Ma la cronaca di questi giorni, mai così devastante nei rapporti bilaterali, parla del caos più assoluto anche sul tema delle strade. Partiamo dalla fine: il Mit ha emesso un comunicato, passato sin troppo sotto traccia, in cui sferra un duro attacco al governo della Regione. “Sul tema del Commissario straordinario per la viabilità in Sicilia, la Regione continua a non operare in modo costruttivo per raggiungere, in sinergia con il Governo centrale, l’obiettivo di ridare all’isola una rete viaria decente – ha detto Toninelli, il Ministero delle infrastrutture e trasporti in una nota – Non si possono questuare 300 milioni all’esecutivo quando ci sono diverse centinaia di milioni di fondi Fsc del Patto Sicilia per le infrastrutture, che non sono stati spesi e che il commissario sarà chiamato a utilizzare rapidamente”. A stretto giro di posta l’assessore Falcone ha avuto da ridire (“Quei soldi sono già impegnati”), ribadendo che “dispiace trovarsi su posizioni differenti sebbene la Regione Siciliana non sia schierata contro qualcuno o qualcosa”. E già in un tavolo romano, Falcone (che è di Forza Italia) aveva minacciato di far saltare tutto se non si fosse trovata una soluzione per dar seguito allo sblocco dei cantieri che Toninelli e Conte, in pompa magna, avevano annunciato direttamente in Sicilia. Partorendo l’ennesimo conflitto di competenze (e di meriti).

La “singolar tenzone” infrastrutturale si rivolge anche altrove: nella nomina, mai messa a punto, di un commissario con poteri speciale che faccia ripartire i cantieri e gli appalti per la viabilità secondaria delle strade siciliane (Musumeci si era candidato); sulla questione aeroporti, che il presidente della Regione vorrebbe privatizzare e i Cinque Stelle no; sulla Ragusa-Catania, la superstrada che da una ventina d’anni attende di essere realizzata e che, per l’ennesima volta in pochi mesi, il Cipe (comitato interministeriale per la programmazione economica) ha “bocciato” con motivazioni che da più parti si definiscono “strumentali”. Aiuto.

IL TAGLIO DEI VITALIZI

E poi c’è sempre la questione del taglio dei vitalizi agli ex parlamentari, che pesa tantissimo sul destino di palazzo d’Orleans. Non recepire la norma su cui ci si è appena accordati nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni, la cosiddetta legge Fico, esporrebbe la Sicilia a un taglio importante dei trasferimenti (si parla di 70 milioni). Su questa vicenda, che il presidente dell’Ars Micciché vorrebbe far approfondire a un’apposita commissione creata ad hoc, maggioranza e opposizione si sono sfruculiate abbastanza. Senza venirne a capo. Sarà necessario farlo, a costo di togliere la pensione a gente di 90 anni la cui unica colpa è aver servito le istituzioni siciliane. Dura lex, sed lex.

LIBERI CONSORZI E CITTA’ METROPOLITANE

Un’altra questione aperta rimane quella delle ex province. Lo Stato, che dovrebbe risarcire le province siciliane per 270 milioni di euro di mancate restituzioni negli ultimi tre anni, in realtà vorrebbe “sottrarre” quella cifra ai fondi per gli investimenti da erogare in favore dei Consorzi e delle Città metropolitane. Un trucchetto che ha scatenato l’ira di Stefania Prestigiacomo, che non ha lesinato critiche al governo regionale (definendolo “connivente”) e del sindaco di Messina De Luca, che ha aperto il fuoco contro il sottosegretario del M5S Villarosa, autore dello squallido giochetto. Ma sul destino delle ex province il tavolo è aperto da mesi e una soluzione ancora non si trova.

IL MAXI DISAVANZO DA SPALMARE

Pare che il governo Musumeci, rappresentato dal vice-governatore Gaetano Armao, non voglia forzare troppo la mano perché si aspetta da Roma una carezza sulla questione dei quasi 600 milioni di euro da spalmare in trent’anni (anziché in tre). Unico lasciapassare per la Finanziaria regionale che ha già impegnato quelle somme nei vari capitoli di spesa ritenendo il compromesso “cosa fatta”. Il maxi disavanzo è un tema che nei mesi scorsi ha tenuto la Sicilia sotto scacco: se la Legge di Stabilità, approvata con “riserva”, non potrà godere di quella cifra – congelata da Roma – sarebbero guai per tanti. Non solo per i politici. Ricostruire dalla paura il rapporto di fiducia, latente, fra istituzioni non è un bel segnale. Ma restando la politica l’arte del compromesso, tutto è possibile. Compresa l’ipotesi che tornino i “pontieri”. Solo quando i pompieri se ne saranno andati.