E’ assurdo pensare che tutto vada per il meglio. D’altronde, siamo di fronte a una campagna di massa in tempi di pandemia. Ma i vaccini rappresentano il termometro della (in)capacità gestionale da parte dei vari livelli dello Stato su un tema dirimente: quello della ripartenza e del ritorno alla vita di sempre. La struttura commissariale retta da Domenico Arcuri, uno che a Conte va bene per tutte le stagioni, ma soprattutto Regioni e Asp hanno il compito di provare a dare il massimo. Che non significa soltanto saper conservare nei frigoriferi, a -80°, le fiale di siero che ci vengono fornite da Pfizer (in attesa delle dosi di Moderna e, speriamo al più presto, Astrazeneca). Bensì saper organizzare la macchina nella maniera più efficiente. Cosa che non sta avvenendo.

Delle linee guida ci sarebbero pure: sono quelle del piano nazionale per la vaccinazione, redatto dal commissario per l’emergenza Arcuri, a cui le Regioni hanno l’obbligo di attenersi. La trasparenza, però, non è data da un elenco teorico di categorie che appartengono al target individuato; bensì alle scelte delle varie aziende sanitarie e alla capacità di ri-comprendere nel novero dei “vaccinandi” tutti coloro che hanno avuto o avranno contatti frequenti con le persone più esposte. Fissando un ordine di priorità, convogliando ogni risorsa per tenervi fede e garantendo un rapido rimpiazzo, se qualcuno si tirasse indietro all’improvviso.

Non è accaduto a Scicli, in provincia di Ragusa, dove il dottore Claudio Caruso è stato rimosso da responsabile del centro vaccinazione dopo una vicenda che ha dell’incredibile. Nel giorno dell’Epifania i responsabili dei vaccini avevano diluito 150 dosi, ma 41 erano rimaste inutilizzate perché alcuni operatori avevano marcato visita. Così è partito un rapido passaparola che ha portato un centinaio di persone “a caso” fuori dalla Rsa, pronte a vaccinarsi. Una parte di esse ha staccato il tagliando. Gli altri sono rimasti a bocca asciutta, sollevando un vespaio che ha nuociuto, in primis, a Caruso: rimosso. Il dottore, che è anche consigliere comunale (da qui l’altarino politico che ne è venuto fuori), ha provato a spiegare che molti telefoni erano squillati a vuoto perché giorno di festa, così l’unico modo per non buttare via le dosi (che possono rimanere fuori dal freezer per un massimo di tre ore) era affidarsi al “caso”. O meglio, ad amici e parenti. Mancava, infatti il piano-B, ossia una lista da scorrere che definisse gli aventi diritto. Il nocciolo è proprio questo: l’efficienza organizzativa.

Negli ospedali va un po’ meglio: se qualcuno non si presenta – è accaduto da più parti – scattano le chiamate ai reparti, dove il personale accorre in maniera massiccia. Sul territorio, ovviamente, è un po’ più complicato reperire risorse istantanee. E succede come a Scicli, dove i Nas hanno aperto un’indagine. I parlamentari Nello Di Pasquale e Stefania Campo, rispettivamente del Pd e del Movimento 5 Stelle, hanno presentato un’interrogazione a Razza per capire cosa sia successo, ma soprattutto per evitare che “possano accadere fatti simili anche altrove”. “I destinatari del vaccino – aggiungono – non possono essere selezionati perché fortunati nel conoscere qualcuno, soprattutto se non hanno diritto”. L’Asp di Ragusa ha comunicato che da ieri sono iniziate le vaccinazioni di medici di famiglia e pediatri di libera scelta, mentre dalla prossima settimana si partirà con gli ultraottantenni.

Restano un mistero, nelle Asp siciliane, i criteri utilizzati per redigere gli elenchi. Esiste una direttiva regionale che per la prima fase – quando saranno a disposizione dell’Isola, nel complesso, 141 mila dosi – fissa alcuni paletti per la somministrazione: destinata a 79 mila professionisti della sanità, 8.600 operatori della sanità privata, 21 mila ospiti e 10 mila operatori delle case di riposo. Ma non è specificato a chi, all’interno di questa platea, viene garantito il primo turno, il secondo o il terzo. E’ una scelta a discrezione dei centri di somministrazione, che non viene normata da una legge uguale per tutti, ma si affida spesso a criteri “soggettivi”. Come quello che aveva tenuto fuori, a Villa delle Ginestre, gli odontoiatri (si parlò di un preciso ordine di servizio, poi smentito). I dentisti, infatti, fanno parte delle categorie “privilegiate”. Ma è giusto, sacrosanto, dal momento che entrano a contatto con le bocche dei pazienti. Eppure, nel caso di Palermo, qualcosa è andato storto: alcuni sono stati vaccinati, altri rispediti a casa dopo l’intervento della Digos. Lo stesso destino è toccato alle segretarie dei medici di base.

Ci sono altre categorie che, a torto, dovranno aspettare. Ad esempio chi lavora nei laboratori analisi. Spesso, spessissimo si tratta di operatori che eseguono tamponi molecolari e test antigenici. Che, nella migliore delle ipotesi, in questi mesi hanno frequentato soggetti potenzialmente positivi. E che per portare avanti questo compito delicato, avrebbero bisogno di qualche precauzione in più, ad esempio il vaccino. Come fai ad avviare la macchina se non ti occupi della messa a punto dei pistoni? Eppure, molti laboratori e consorzi di Palermo (ma anche di altre province) sono stati esclusi dalla prima chiama. Il commissario per l’emergenza Renato Costa, ad alcuni di loro, ha detto che bisogna attendere il proprio turno.

Un’altra categoria potenzialmente a rischio è quella dei farmacisti. La legge di Bilancio 2021, appena approvata dai due rami del parlamento italiano, riconosce il ruolo fondamentale della farmacia e dei farmacisti, quali operatori sanitari da subito in prima linea per affrontare l’emergenza. La legge stabilisce che i vaccini potranno essere inoculati anche presso le farmacie, con la supervisione di medici, assistiti, se necessario, da infermieri o da personale sanitario opportunamente formato. I farmacisti, fra l’altro, si sono preparati per tempo attraverso la frequenza di corsi professionalizzanti per la somministrazione dei vaccini e sono pronti, se autorizzati dal ministro della Salute, all’inoculazione, contribuendo a un rapido incremento della campagna di immunizzazione grazie alla rete delle 19 mila farmacie presenti in Italia. Ma è necessario, ovviamente, che loro stessi siano vaccinati in via prioritaria in questa prima fase, alla stregua di altri operatori sanitari. Purtroppo in alcune Regioni ciò non è stato previsto. Tra queste la Sicilia, dove in testa alle graduatorie compare, invece, il personale amministrativo delle Asp (per dirne una).

Paradossalmente – ecco i vaccini a corrente alternata – in alcune province i farmacisti vengono chiamati a vaccinarsi e, addirittura, all’interno della stessa Asp di Palermo, il distretto 35 lo ha già fatto e gli altri no. Roberto Tobia, segretario nazionale di Federfarma e presidente di Federfarma Palermo, auspica “un urgente intervento della Regione affinché anche in Sicilia tutti i farmacisti possano essere vaccinati e le farmacie possano contribuire al raggiungimento degli obiettivi della campagna vaccinale. Serve un criterio unico che consenta anche di razionalizzare ancora di più la distribuzione dei vaccini e di agevolare le prenotazioni. Ci auguriamo che le autorità competenti dettino criteri univoci per accelerare i tempi. Solo così, quando a breve saranno distribuite anche le dosi del vaccino Moderna, sarà possibile intensificare al massimo la campagna vaccinale nell’Isola”.

Anche il presidente dell’Ordine dei Medici, Toti Amato, a ridosso dal vaccine-day aveva spiegato che “i colleghi che non operano nel pubblico ma esercitano da liberi professionisti” non si possono escludere dalla protezione vaccinale. E aveva rivolto un appello a Musumeci e Razza affinché si facessero promotori col presidente del Consiglio di questa fattispecie, con particolare riferimento agli odontoiatri. Ma il punto, qui, non è (soltanto) stabilire un ordine di priorità. Ma soprattutto fare in modo che tutti seguano le stesse regole. Che i calendari e le liste siano ufficiali e trasparenti. Che non ci sia occasione di “scavalco” per i furbetti, né di confusione per gli addetti ai lavori. Che non si gettino via i vaccini (già sono pochi quelli a disposizione). Superate queste criticità, a cui – per forza di cose – dovrà mettere mano l’assessore Razza, potremo tornare a bearci per il fatto di essere la quinta regione italiana in termini di somministrazione. Altrimenti è come darci il “cinque” da soli.