In questi giorni ovattati, in cui ogni singola energia è rivolta alla modifica della Legge di Stabilità (il partito di Cateno De Luca ha presentato un centinaio di emendamenti) e a garantire gli equilibri nella maggioranza, alla Regione è riesplosa la “questione morale”. Per una concatenazione di eventi che partono dalla cattura di Messina Denaro e approdano ai palazzi della politica, dove la commissione Antimafia ha modificato il regolamento in senso garantista. Ma c’è anche il caso di Alfonso Tumbarello, il medico-massone (sospeso dalla loggia del Grande oriente d’Italia) che a lungo ha rilasciato certificati e ricette per il boss di Castelvetrano; lo stesso Tumbarello che nel 2006 aspirava a Sala d’Ercole con la casacca dell’Udc e nel 2011 rischiò di fare il sindaco di Campobello.

I confini tra politica e criminalità organizzata sono e restano labili. Anche a causa del fittissimo giro d’affari – con in campo lobby e faccendieri – che insidia un giorno sì e l’altro pure tutti i settori della pubblica amministrazione. Basti ricordare, inoltre, gli arresti alla vigilia delle comunali di Palermo (già segnati dal ritorno in campo di Cuffaro e Dell’Utri) e delle Regionali, quando un candidato dei Popolari e Autonomisti – della coalizione di centrodestra – finì dentro con l’accusa di voto di scambio. Molti parlarono di giustizia a orologeria, ma Schifani vinse comunque. Con un’ampia maggioranza. Eppure il governatore sa bene, e, l’ha imparato in questi primi mesi di governo, che neppure la Regione è al sicuro. L’ha ammesso nel corso di un’intervista a Repubblica: “Assicurare che qualsiasi sistema di pubblica amministrazione sia impermeabile alla mafia sarebbe un gesto di ipocrisia – ha spiegato l’ex presidente del Senato -. Per quanto mi riguarda, un paio di mesi fa ho fatto un atto di indirizzo in cui ho sollecitato la velocizzazione della rotazione dei funzionari per evitare pericolo di incrostazioni. Non ho trovato grandi resistenze”.

Schifani sta provando a sottrarre i dirigenti dal rischio di rimanere incastrati nelle pretese di affaristi senza scrupoli. O, peggio, di cedere ad essi. Rappresenta un primo passo, ma non esaurisce la pretesa di un nuovo slancio culturale da parte della politica. Un passaggio cruciale che Claudio Fava, fino a pochi mesi fa alla guida della commissione Antimafia, ha sottolineato nella sua ultima intervista a Buttanissima prima del ritiro dalla scena: “I poteri forti – aveva detto l’ex deputato dei Cento Passi – sono il convitato di pietra con cui, chi fa politica in Sicilia, deve misurarsi: rassegnandosi a una funzione ancillare, come hanno fatto Musumeci, Crocetta e la banda dei loro pretoriani; o provando a dare fastidio, cosa che in un modo o nell’altro si è costretti a pagare”. La sua commissione Antimafia ha provato a intervenire e fare luce su diversi fronti: dal sistema Montante ai signori delle discariche. E anche il neo presidente Cracolici, che annuncia sfumature diverse, comincerà da un’inchiesta sui beni confiscati.

Il dubbio, però, è quello esternato dal direttore Sottile nelle sue Operette: “Che ne facciamo di questa tormentata commissione antimafia? La eleviamo al ruolo di un tribunale parallelo dove processare, per il divertimento della politica, gli stessi gaglioffi già inquisiti dalla magistratura ordinaria? Oppure la trasformiamo in uno strumento utile per focalizzare le collusioni e le corruzioni, le lentezze e le nefandezze che affliggono la vita quotidiana della Regione degli assessorati, delle partecipate, delle aziende sanitarie?”. La domanda di per sé contiene già la risposta. Ma non può essere soltanto l’Antimafia a dover “perseguire” comportamenti e abitudini che si ripetono da lustri. Né a dover rappresentare l’ovvio. Ci ha già pensato Schifani a spiegare che “se ci sono condannati che hanno espiato la loro pena, peraltro ancora interdetti dalla possibilità di essere candidati, nulla può impedire loro di fare politica”. Si riferiva ai soliti Cuffaro e Dell’Utri, che peraltro hanno sostenuto la sua corsa a Palazzo d’Orleans.

L’obiettivo è andare oltre. Dirimere le questioni sulla base dell’opportunità politica ed etica, e non solo della rilevanza penale. Quello di Cannes, ad esempio, resta un contesto opaco sotto tanti punti di vista. Politico in primis: perché l’utilizzo smodato del portafogli del Turismo, facendo leva su una serie di rapporti privilegiati con aziende più o meno note, o personaggi più o meno conosciuti, non può diventare l’unica prerogativa per veicolare “un brand” e dirottare soldi pubblici (per di più di provenienza europea). Non serve, e forse non servirà l’Antimafia per capire che tipo di società è la Absolute Blue. Ma sarebbe bastata una riflessione (onesta) a monte per capire che un finanziamento da 3,7 milioni a una società lussemburghese, senza procedura di gara, non sarebbe stato nel miglior interesse della Regione. Puzzava di bruciato.

Schifani è stato il primo a temere un “forte danno d’immagine per la nostra terra”, ma fin qui si è limitato a intimare la revoca del provvedimento, poi ottenuta, e un braccio di ferro con l’assessore Scarpinato, il quale è intenzionato a restare. Potrebbe andare oltre e ricostruire – come s’è imposta di fare la Procura di Palermo – la filiera degli sprechi, che riguarda tante scelte. Non solo la mostra di Cannes. E’ vero, quasi tutti i provvedimenti risalgono alla legislatura precedente: ma i legami fra “questa” e “quella” giunta sono talmente tanti – riguardano i partiti e i loro esponenti – da non poterli ignorare. Non è detto che i riscontri siano per forza negativi, tutto potrebbe risolversi in una bolla di sapone: ma “la necessità di ripulire l’aria” è anche un modo per ridare credibilità all’ente e al suo governo.

“Serve rispetto per la magistratura – dice Cracolici – Le garanzie devono essere sacre”. E’ vero. Nessuna esigenza di sostituirsi ai magistrati. Ma di segnalare, magari, i pertugi che rendono l’Amministrazione permeabile, specie se sono originati dalla muffa, dai corsi e dai ricorsi storici, da antichi personaggi, noti alle cronache, che ancora popolano i corridoi degli assessorati. Da società di dubbia provenienza, allocate in paradisi fiscali – Cayman o Lussemburgo poco importa – dove ogni opacità (ricordate lo scandalo del censimento immobiliare?) finisce annacquata. Avvoltoi e finti imprenditori, che si dimostrano spericolati avventurieri, vanno tenuti alla larga. E vanno ricostruiti i meccanismi, e chiarite le responsabilità, che stanno alla base di alcuni azzardi: come nel caso del bando da mezzo miliardo per la riscossione dei tributi degli enti locali – cinque partecipanti per cinque lotti di gara – sospeso dall’assessore Falcone in attesa di chiarimenti.

Ricorda la storia del bando (risalente all’epoca Cuffaro) per i quattro termovalorizzatori, che quattro società si spartirono “a tavolino” prima dell’annullamento delle procedure in autotutela. Sapete chi ne parlava in commissione Antimafia? Il signor Pier Carmelo Russo, ex assessore all’Energia del governo Lombardo, che oggi esige una mega parcella da parte della Regione per averla difesa nella causa coi privati: “Sa quante possibilità c’erano che la gara potesse andare così com’è andata? Una su 949.173.615. Tanto per dare un’idea, le possibilità di vincere il superenalotto sono una su 622 milioni”, spiegava a Claudio Fava. Secondo la commissione medesima, era “più semplice vincere il superenalotto con una puntata secca che determinare, per pura casualità, la perfetta simmetria delle quattro offerte che si aggiudicano l’appalto per i termovalorizzatori senza mai sovrapporsi. Un accordo di cartello – lo definì l’Antimafia – che aveva, come posta in palio, cinque miliardi e mezzo di vecchie lire per vent’anni. Centodieci miliardi”. Nessuno riuscì a dimostrarlo: la procura di Palermo ci provò finché non intervenne la prescrizione, la commissione Antimafia c’è arrivata una dozzina d’anni dopo. Ma la cosa grave è che la politica ha osservato da lontano. Ci ha fatto caso fino a un certo punto.