Ogni appuntamento elettorale, soprattutto in tempi difficili, chiama a bilanci severi che interrogano le nostre coscienze e la storia che abbiamo attraversato. Il voto di fine settembre si carica di drammatici interrogativi che attengono al futuro del Paese, alla sua stabilità politica e istituzionale, alle sfide che vengono dalla questione sociale che nel Mezzogiorno incrocia antichi problemi e pretende soluzioni non demagogiche ma di lungo periodo.

La Sicilia è chiamata alla doppia prova del rinnovo della rappresentanza parlamentare e a quella cruciale di Assemblea e Governo regionale. Si tratta di vicende, legate da stretta connessione politica, che chiamano in causa le ragioni e i valori che hanno guidato i nostri percorsi e le nostre esperienze. Soprattutto esigendo che sulla durezza dei conflitti e sulle divisioni ideologiche prevalessero l’equilibrio civile, il valore assoluto della democrazia, il non appagamento che veniva dalla educazione cristiana. Era centrale, per la mia generazione, la collocazione in un’area ideale capace di conciliare la dialettica fra libertà e giustizia sociale. Era la modernità di una linea estranea ai populismi, peraltro saldamente radicata nella coscienza del Paese. Era il “centro” inteso non come luogo ma come spazio civile e come cultura di governo. Uno spazio tuttora conteso e contendibile.

Si tratta di un tratto vitale della storia italiana e siciliana che abbiamo il dovere di reinvestire nelle nuove forme del confronto politico. Un tratto nel quale continua a riconoscersi gran parte di una opinione che si sente mortificata dalla violenza dei nuovi linguaggi e dalle vecchie rappresentazioni. In effetti appare questa la vera novità in un mondo che tuttora soffre la insufficienza di prospettive e di speranze. Una riserva di umanità che potrà tornare utile nella nuova pagina di storia che si aprirà in Sicilia a partire dal voto prossimo venturo.

È una occasione propizia che nasce da una indicazione che considero felicemente coniugabile con i valori e le esperienze da me vissute nella vita regionale e nazionale. Mi riferisco alla scelta di candidare alla Presidenza della Regione Renato Schifani, che apprezzo per consuetudine di relazioni istituzionali politiche e personali e a cui riconosco una qualità e una inclinazione ad interpretare il punto più elevato di una politica ispirata a principi riformatori e a naturale moderazione. Insomma la combinazione di rigore, stile di governo e di realismo politico: una combinazione alla quale può concorrere il contributo di culture come la nostra che ha molto contato e molto conterà nella azione di recupero di intere fasce sociali che rifiutano la politica delle grida e degli slogan. E che spesso si rifugiano nella negazione o nell’astensione.

La Sicilia potrà tornare a recitare un grande ruolo nella vita italiana solo costruendo un modello di governo ispirato alla piena corrispondenza fra politica e società. Una politica chiamata alla trasparenza, una società sollecitata al rinnovamento.

Per questo progetto siamo pronti a spendere energie e talenti. Per la Sicilia del coraggio e del buon governo. La Sicilia del futuro.