Qualche giorno fa la giunta ha dichiarato un nuovo stato di crisi ed emergenza regionale a causa della siccità per il settore agricolo e zootecnico (il precedente era scaduto il 31 dicembre 2024): significa che non ne siamo usciti e che anche la prossima estate, al netto dei pochi acquazzoni previsti da qui in avanti, dovrà fare i conti con l’emergenza idrica. Ci vorrebbero soluzioni nette, durature: lo stesso pragmatismo utilizzato con i termovalorizzatori per superare il caos dei rifiuti e la saturazione delle discariche. Invece il presidente della Regione, Renato Schifani, per il momento ha deciso di non commentare la proposta del gruppo Webuild, che vorrebbe – stando alle premesse – equipaggiare l’Isola di impianti di dissalazione così da lasciarsi alle spalle la crisi entro un paio d’anni.
Il silenzio di Schifani è molto rumoroso, soprattutto perché lui, con l’ordinanza del 19 maggio 2024, è stato nominato “Commissario Delegato per la realizzazione degli interventi urgenti finalizzati alla gestione della crisi idrica”. Avrebbe tutte le carte in regola per intervenire, muovere i fili, determinare gli indirizzi. Di interventi urgenti ce ne sarebbero eccome: eppure, specie sui dissalatori, Schifani ha ceduto lo scettro del comando (o le chiavi del controllo) al commissario nazionale per l’emergenza idrica, Nicola Dell’Acqua “al quale la legge ha assegnato pieni poteri di deroga sui tempi di realizzazione”. Questo vuol dire che, sulla scorta dei 90 milioni stanziati da Palazzo Chigi grazie alla rimodulazione dei fondi Fsc (Sviluppo e Coesione), sarà Dell’Acqua a coordinare il ripristino dei vecchi dissalatori di Trapani, Gela e Porto Empedocle, oltre all’installazione di moduli temporanei con cui, nei prossimi mesi roventi, si tenterà di metterci una pezza.
Il piano di Webuild (per inciso: è la stessa società che si sta occupando della realizzazione del Ponte sullo Stretto) è assai più articolato e per certi versi “ignoto”: prevede la costruzione di impianti di dissalazione finanziati interamente con capitali privati e un investimento di quasi 900 milioni di euro. La conferma è arrivata dall’Amministratore delegato Pietro Salini. Ma la Regione, anziché cogliere la palla al balzo, ha mostrato un atteggiamento schizzinoso. Il presidente non si è lasciato trascinare dagli entusiasmi di alcuni alleati (soprattutto i leghisti), anzi da Palazzo d’Orleans filtra un certo fastidio per una mossa – quella dell’imprenditore – non concordata. Il progetto, come rivelato dall’edizione palermitana di Repubblica, sarebbe al vaglio degli uffici, con una relazione a cui starebbero lavorando sia i tecnici del dipartimento Acque che i funzionari della Protezione civile. Poi sarà il turno di Palazzo d’Orleans.
In attesa che Schifani possa analizzare le carte, non solo nelle vesti di presidente ma anche di commissario delegato per l’emergenza idrica, e pronunciarsi, ci si interroga sulle capacità di integrare efficacemente gli impianti proposti nel sistema idrico esistente, sulle implicazioni per le infrastrutture pubbliche, sui costi a carico della Regione, ma anche sui vantaggi futuri che potrà trarne il privato. Salini ha sottolineato che la proposta è stata sviluppata a titolo gratuito, ma è evidente che gli interessi, quelli reali, sarebbero svelati più avanti. Così come appare abbastanza chiaro che l’investimento, carte alla mano, risulta dieci volte superiore a quello contemplato dal governo nazionale (con un piccolo apporto della Regione – 10 milioni – in termini di cofinanziamento).
Che Schifani stia forse subodorando il rischio di appaltare una leva di potere (anche economico) ai privati? Con l’acqua non si può fare troppo i “preziosi” (nella Sicilia occidentale le piogge sono in diminuzione per il quarto anno di fila), e il presidente è già parso aperto verso soluzioni che garantiscano lo sviluppo della sua terra: vedasi il capitolo aeroporti. Al contrario, ha voluto riformulare il progetto per la realizzazione dei due termovalorizzatori, a Catania e Palermo, che potranno contare su 800 milioni di contributi pubblici: la precedente iniziativa del governo Musumeci prevedeva un project financing, con la realizzazione e la gestione a carico dei privati. Ipotesi cancellata…
La Sicilia, però, non ha molto tempo a disposizione. La siccità morde anche quest’anno: ne è prova la proclamazione del nuovo stato di crisi per le produzioni agricole e zootecniche. Per l’attuazione degli interventi urgenti in favore degli agricoltori e degli allevatori siciliani, Schifani ha nominato commissario il dirigente generale del dipartimento Agricoltura, Fulvio Bellomo. Non va molto meglio con le altre misure di mitigazione della crisi: gli invasi sono semivuoti e le condotte colabrodo non permettono di canalizzare l’acqua nel migliore dei modi. Molte province, a partire dalla solita Agrigento, rischiano di rimanere a secco. Anche le civili abitazioni, come avvenuto la scorsa estate, presto potrebbero rivolgersi alle autobotti.
Sul fronte dei dissalatori – che sembrano l’unica soluzione a una criticità divenuta ancestrale – sono iniziati i lavori per l’installazione dei primi impianti mobili nei Comuni di Gela e Porto Empedocle (a breve succederà anche a Trapani): i lavori riguardano la predisposizione dei preesistenti siti per l’installazione dei nuovi moduli di dissalazione mobile e l’esecuzione degli allacci alle opere di presa a mare, agli scarichi della salamoia, alla rete idrica ed elettrica. Il piano organico messo in campo – si legge in una nota della presidenza dello scorso aprile – prevede, a seguire, la realizzazione di altri due dissalatori nel Palermitano e condotte, per un importo di 200 milioni di euro, da realizzare a cura della Protezione civile siciliana con il sistema del progetto di finanza, il cui bando di gara sarà pubblicato a breve da Invitalia. Ma sul progetto di Salini, per il momento, le bocche rimangono cucite. La mossa di Webuild, più che un’opportunità concreta, è ritenuta un’invasione di campo.