Oltre sessanta milioni di euro, di cui un terzo per i privati. Un piano operativo, monitoraggi severi, obiettivi chiari. E soprattutto: slot aggiuntivi per le visite specialistiche, con l’apertura degli ambulatori fino alle 20 e il sabato; garanzia di appuntamenti per gli screening alla mammella, al colon-retto e alla cervice uterina; e controlli serrati sui limiti dell’attività libero-professionale intramuraria (la famosa intramoenia, cioè le prestazioni a pagamento somministrate dai medici ospedalieri).
Così la Lombardia – dove pure non mancano le criticità – prova ad affrontare di petto la piaga delle liste d’attesa. Non con proclami, ma con numeri, scadenze e controlli. Il nuovo piano, varato nei giorni scorsi dalla giunta Fontana e illustrato dal Corriere della Sera, sembra tarato per evitare anche dalle parti di Melegnano un caso-Trapani. Si dispone, infatti, di fornire in tempi certi gli approfondimenti successivi a un esame: questo servirà a verificare immediatamente se un paziente ha un tumore e deve cominciare le cure. Inoltre, la colonscopia e l’acografia vanno garantiti entro i 30 giorni dell’esame di primo livello, mentre sarà l’assessorato al Welafare (diretto da Guido Bertolaso) a vigilare sul raggiungimento dei target, utile ad esprimere un giudizio sull’operato dei manager.
Un modello che – almeno sulla carta – prova a restituire fiducia e diritto di cura ai cittadini. In Sicilia, invece, i diritti restano sulla carta. E la fiducia è sotto i tacchi. Anche da noi si monitora, certo. Si annunciano piani e si minacciano provvedimenti. Ma al netto delle parole, restano solo attese interminabili, piattaforme informatiche che non funzionano e ospedali dove per una risonanza servono sei mesi (quando va bene). Le stime ufficiose parlano di oltre 200 mila prestazioni sospese, ma il numero vero non si conosce. Il Sovracup regionale, che dovrebbe armonizzare e rendere trasparente l’offerta, funziona “a singhiozzo”.
I pazienti raccontano disguidi grotteschi, con prenotazioni assegnate a reparti completamente estranei alla prestazione richiesta. Alla base di tutto ciò c’è l’assenza di interoperabilità tra i sistemi informatici delle Aziende sanitarie. A questo si aggiunge l’adozione incompleta dei nuovi codici del nomenclatore correlato ai LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, uno dei principali ostacoli che impedisce l’erogazione completa e tempestiva delle prestazioni sanitarie. Nel frattempo, il nuovo Piano nazionale prevede l’integrazione dei dati nella Piattaforma Nazionale delle Liste d’Attesa (PNLA), pensata per mostrare in tempo reale disponibilità, classi di priorità e, se necessario, attivare soluzioni alternative. Ma la piattaforma, ad oggi, non è ancora pienamente operativa.
Così capita che una visita pubblica si ottenga tra un anno, ma la stessa prestazione in intramoenia – cioè a pagamento – sia disponibile dopo tre giorni. Un cortocircuito etico e gestionale che fa infuriare i pazienti e allunga la fila degli “scoraggiati”: secondo i dati disponibili, oltre il 10% dei siciliani rinuncia a curarsi. Perché non ci crede più. Perché non può permetterselo. Il Centro Studi regionale di Italia Viva ha recentemente denunciato il collasso della chirurgia elettiva: per un’artroprotesi d’anca, in Sicilia, l’attesa media è di 182 giorni, il triplo del limite fissato dal D.M. 70/2015 (60 giorni). E nel 2023, secondo le stime di Italia Viva, circa 23 mila persone avrebbero rinunciato alle cure.
Nel frattempo, da Palermo, Renato Schifani continua a invocare rigore. Ha chiesto all’assessore Faraoni di valutare le performance dei direttori generali delle Asp: chi non raggiunge gli obiettivi, “va a casa”. È scritto nero su bianco nei nuovi contratti. Ma i risultati, fin qui, non si vedono. Qualche giorno fa si è tenuto l’ennesimo vertice con i manager: la Regione promette “verifiche stringenti”, mentre il presidente lascia intendere che la manovra-ter di luglio potrebbe stanziare nuove risorse per ridurre le attese. L’assessore della Salute, invece, parla di “inappropriatezza prescrittiva”. A suo dire, molte richieste di prestazioni sanitarie non sarebbero giustificate da un reale bisogno clinico e rappresenterebbero un aggravio per il sistema (ed è vero). Più che una cura, sembra uno spostamento del problema: si colpevolizza la domanda, mentre è l’offerta – inadeguata, disorganizzata, opaca – a rendere il sistema ingovernabile.
Intanto, Roma ha alzato la voce. Il Decreto-legge 73/2024, convertito dal Parlamento e pubblicato in Gazzetta lo scorso maggio, stabilisce che, in caso di gravi inadempienze organizzative e strutturali, il Ministero della Salute può intervenire in via sostitutiva attraverso l’Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria (SiVeAS). Una sorta di commissariamento. La Sicilia è tra le tredici Regioni sotto osservazione.
Domenica scorsa, in piazza a Palermo, sono tornate le bandiere del Movimento 5 Stelle. Oltre 1.500 persone, guidate da Giuseppe Conte e da una folta delegazione di parlamentari pentastellati. Ma c’erano anche rappresentanti di Pd, Avs, Cgil e altre sigle politiche e civiche. “Un avviso di sfratto per Schifani”, lo ha definito Nuccio Di Paola, coordinatore regionale del M5S, affiancato dal capogruppo all’Ars Antonio De Luca, che dal palco ha denunciato le contraddizioni di un sistema che “ha garantito cure rapide a Matteo Messina Denaro, mentre i cittadini onesti aspettano mesi o muoiono prima di un referto”.
Il M5S ha presentato una mozione per rendere applicabile in Sicilia la legge nazionale del ’98, che prevede visite gratuite in intramoenia o nel privato se il pubblico non rispetta i tempi di attesa. “Schifani l’ha dichiarata superata – attacca Di Paola – ma è più viva che mai”. E ha annunciato un emendamento alla prossima manovra economica per dirottare fondi concreti su questa battaglia. “Se salta qualche sagra di paese, non morirà nessuno”. Nel mirino anche lo smantellamento della Cardiochirurgia Pediatrica di Taormina. La proroga accordata dal Ministero scade il prossimo 31 luglio. Un’altra magagna con la data di scadenza sul retro.