Da una parte la città, una realtà concreta, espressione della razionalità umana e dall’altra la metafisica, il superamento della realtà. “La città metafisica” dell’architetto e artista visivo Paola D’Amore, inaugurata per la Settimana delle Culture, è esposta a Palazzo Ajutamicristo a Palermo fino al 31 maggio. Un ossimoro, quello di Paola, di cui parlava lo stesso maestro della metafisica in pittura Giorgio De Chirico, caratterizzata da rame e legno vuole esprimere la condizione umana dell’età presente. “Guardando certi oggetti appaiono delle forze, degli aspetti, delle prospettive che sono visti “al di là delle cose fisiche”, racconta. Nella “Città metafisica” di Paola ci sono parallelepipedi, cubi e sfere di rame e legno, lavorati sperimentando pittura e materiali diversi, frutto del suo lavoro tra architettura, arte ed edilizia, dal 1987.

La città è l’incarnazione e il simbolo della “razionalità tecnica” che ha caratterizzato la storia dell’Occidente e oggi la storia del Mondo. Tutto parte dal 1600, il secolo in cui compare la scienza moderna con Bacone, Galileo e Cartesio quando, come scriveva Cartesio, “L’uomo grazie al metodo scientifico diventa maître et possesseur du monde”, in “città tecniche” prodotte dalla rivoluzione scientifica. Si ricordano le opere filosofiche “La nuova Atlantide” di Bacone, “Utopia” di Tommaso Moro e “La città del Sole” di Campanella, in cui le città vengono descritte come proiezioni fantastiche e simbolo della potenza della tecnica e del suo dominio sulla natura. A livello urbanistico, la città è sempre stata contrapposta alla campagna, dove resiste la natura. La città è chiusa e separata dalla campagna grazie alle sue mura e diventa un prodotto della razionalità tecnica con l’affermazione, tra il Sette e l’Ottocento, della pianificazione urbanistica. Si arriva poi ai grandi hubs urbano-tecnologici dei giorni nostri, da Los Angeles a Shangai, da Londra a Milano, dove non solo la città è modellata dalla tecnica intesa come urbanistica, ingegneria e scienza dei materiali, ma è anche il luogo privilegiato dell’innovazione tecnologica. Si entra perciò nell’era presente, che Emanuele Severino chiama “l’età della tecnica”, un mondo in cui la tecnica da mezzo per raggiungere un fine desiderato diventa un fine assoluto che domina tutte le altre dimensioni dell’esistenza, dall’etica alla politica, fino a superare l’economia.

Nella città di Paola manca l’uomo. “Se la tecnica è stata il prodotto della fantasia umana, il dominio della tecnica segna la fine dell’Umanesimo. L’uomo è ridotto ad eseguire delle mansioni pre-codificate che servono a fare funzionare l’apparato tecnico, la macchina. L’uomo si limita ad applicare le regole tecniche legate alla sua operatività, perde ogni responsabilità morale per le conseguenze del suo comportamento quindi si limita a fare e non più ad agire. L’azione richiede il pensiero. Un cambiamento che si introduce poi nell’era digitale. La logica binaria secondo lo schema 1/0, ci fa dire solo “sì” o “no”, cambiando il modo di pensare. Si smarrisce la capacità di pensare in modo problematico e complesso. Le nuove tecnologie della comunicazione, con la semplificazione indotta da un tweet o da una chat, rafforzano questa tendenza.

La tecnica non è più un mezzo a disposizione dell’uomo ma l’ambiente dove si realizza una vera e propria trasformazione antropologica. “Questa trasformazione è diversa dalle rappresentazioni delle città ereditate da una plurisecolare esperienza pittorica, dove sono raffigurati ambienti occupati dall’uomo, dalle sue attività, dalla sua inventiva e dai suoi sentimenti”, spiega l’artista. La “città metafisica” di Paola è tecnica pura, indifferente e indipendente rispetto agli uomini, omogenea nei colori. Vengono utilizzati il bianco, o il colore del legno, con poche sfumature, ma senza contrasti cromatici, come il pensiero a una dimensione che l’opera ospita. Nella “Città metafisica” di Paola non c’è nulla che richiami la natura, come invece poteva essere per l’acqua che riempiva i canali di Venezia del Canaletto, anzi è geometricamente delimitata, circoscritta con precisione nei confronti nell’ambiente esterno rispetto al quale segna una drastica discontinuità. Ma la “Città metafisica” può esprimere anche un’utopia: il recupero di un’ambiente in cui si possa ritrovare l’equilibrio psichico e la forza spirituale che si sono smarriti. Il bianco della “Città metafisica” può indicare questo bisogno di serenità in contrapposizione alle nevrosi dell’età della tecnica. Il legno, il più naturale dei materiali, può simboleggiare il ritorno ad un rapporto equilibrato e di rispetto reciproco tra l’uomo e la natura.