Fuori ci sono 33 gradi ma al Teatro Massimo fa freddo. Per cautelarsi dall’aria condizionata, Roberto Andò si fa portare la giacca. E’ qui per le prove di Winter Journey, l’opera di Ludovico Einaudi su libretto di Colm Toibin che debutta il 4 ottobre in prima mondiale di cui il regista palermitano cura ideazione drammaturgica e regia. Ieri Andò è stato nominato direttore del Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale, nuova, importante avventura che affronterà dal 1° gennaio 2020 ma questi sei mesi saranno il tempo necessario «per potere esplorare».

Anche a Palermo le era stata proposta la direzione del Biondo. Quale garanzia in più le ha dato Napoli?

«L’unica, indispensabile per me: disgiungere le responsabilità artistiche da quelle gestionali. L’offerta era arrivata dal presidente Filippo Patroni Griffi a Natale. Ho detto che non avrei accettato se non a quella condizione. Mi ha telefonato l’altro giorno: ti abbiamo votato all’unanimità e siamo disposti a rivedere lo statuto per venire incontro al tuo desiderio. A questo punto ho detto sì, con gioia».

I precedenti da direttore sono tutti in Sicilia: il Festival sul Novecento, cinque estati alle Orestiadi di Gibellina, tre edizioni dell’Ortigia Festival a Siracusa, il 2018 anno di transizione all’Inda. Adesso Napoli, quasi a sorpresa.

«Non era nel conto, per fortuna ho una vita intensa di lavoro, di interessi. Ma c’erano dei presagi…».

Quali?

«Intanto ho scritto un nuovo romanzo che uscirà a gennaio per La Nave di Teseo, si intitola Il bambino nascosto ed è ambientato a Napoli. Ne verrà fuori un film, l’anno prossimo, che ovviamente girerò a Napoli. A fine ottobre debutta al Carignano di Torino il mio nuovo spettacolo di prosa che segna anche la mia prima volta con un testo di Eduardo, Ditegli sempre di sì con Gianfelice Imparato. Al San Carlo erano già in cartellone due mie regie, il Winter Journey che da Palermo arriverà nel teatro lirico partenopeo a marzo e Il flauto magico nell’allestimento già rodato del Regio di Torino. Se non sono segnali questi…».

Che cosa la lega a Napoli?

«Prima di tutto rapporti umani autentici, legami solidi, affinità profonde, a cominciare dal mio maestro, Francesco Rosi, che per primo mi fece conoscere la città. Poi sua figlia Carolina, Luca De Filippo, Dudù La Capria, i “miei” attori ma soprattutto amici Toni Servillo e Renato Carpentieri, Mario Martone…».

Ed esperienze artistiche?

«Tante, tutte indimenticabili. La più forte, di sicuro, nella prima edizione del Napoli Teatro Festival, undici anni fa, quando Renato Quaglia mi chiese di allestire uno spettacolo ispirato a Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese, con Anna Bonaiuto, Maria Nazionale e Vincenzo Pirrotta, alla Darsena, con cento persone in scena. Oppure, sempre nella stessa rassegna, molti anni dopo, In attesa di giudizio con Fausto Russo Alesi. E poi tutte le regie al San Carlo, dal Tancredi di Rossini al Castello di Barbablù di Bartok, a L’enfant et les sortilèges  di Ravel».

Un palermitano a Napoli. In cosa siamo diversi?

«Il rapporto con la morte, per esempio. Noi lo prendiamo molto sul serio, i napoletani ci scherzano su, ci giocano in tutte le declinazioni possibili. Il rapporto con il mare, poi: noi palermitani lo abbiamo ripudiato, i napoletani lo sentono sempre forte».

Che tipo di responsabilità sente?

«Quella di dare un’anima energica alle tre sale dello Stabile napoletano: il Mercadante, il San Ferdinando e il Ridotto. Sono felice soprattutto per il San Ferdinando che era “la casa” di Eduardo. Spesso i nostri teatri sono ridotti a splendide macchine per rappresentare un’idea museografica del teatro. Sono convinto che bisogna ridare un soffio, una vibrazione specie in una città la cui lingua ha dato moltissimo alla scena. Vorrei un rapporto elettrico con pubblico».

Che a Napoli è…?

«Competente, giudicante, colto: sia al San Carlo che allo Stabile».

La politica è stata unanime nel votarla: il nome Andò ha messo d’accordo il governatore della Campania De Luca e il sindaco di Napoli De Magistris che sono come cane e gatto, tanto da non parlarsi.

«Sono piaciuto a tutti e due e, giuro, non ho rapporti personali né con l’uno né con l’altro. Ma il teatro lo fa la gente del teatro, lo staff organizzativo e artistico che troverò».

Insomma, nessuna remora.

«Mi si dipinge spesso come l’intellettuale razionale, logico, quasi freddo. A torto. E comunque, nel dire sì a Napoli, logico non lo sono stato affatto».