Il Ministero della Funzione pubblica ha detto ‘no’: Roma si oppone alla disposizione di Musumeci che prevede il rientro in ufficio dei dipendenti dopo lo smart working (la Sicilia, da statistiche ufficiali, è la Regione che ne ha usufruito maggiormente durante la pandemia: circa 5 mila unità si sono dedicate al ‘lavoro agile’).

Qualche settimana fa il presidente della Regione aveva scritto ai dirigenti generali, chiedendo di far rientrare almeno il 50% del personale in servizio, e di recente ha esteso la richiesta a tutti i regionali (a partire dal 3 agosto). Ma ieri Roma ha scritto alla Regione per richiamarla al rispetto di una norma contenuta nella legge di conversione del decreto Rilancio e che affronta il delicato tema della “operatività” degli uffici pubblici: le Amministrazioni sono tenute ad “organizzare il lavoro dei propri dipendenti e l’erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell’orario di lavoro – si legge nella nota inviata dall’Ispettorato per la Funzione pubblica -, rivedendone l’articolazione giornaliera e settimanale e applicando il lavoro agile al 50% del personale impiegato nelle attività che possono essere svolte in tale modalità”.

Una serie di richiami nei confronti della Regione che, invece, ha “sollecitato gli assessori regionali a disporre il progressivo rientro del personale negli uffici fino al totale dell’organico”. Il dipartimento della Funzione pubblica, quindi, ricorda a Palazzo d’Orleans che l’Italia è ancora in stato di emergenza per il Coronavirus e lo sarà almeno fino al 15 ottobre, come deciso dal Consiglio dei ministri. Il Ministero ha chiesto alla Regione di riferire sulle azioni che verranno adottate per garantire il lavoro da casa. Ma questa decisione rischia di riaprire una crepa fra Musumeci e i dipendenti. Il governatore, che non si fida affatto della maggior parte di essi (“L’80% si gratta la pancia dalla mattina alla sera“), sperava di poter vigilare a dovere facendoli tornare negli uffici. I sindacati avevano polemizzato con questo provvedimento, lamentando scarse condizioni di sicurezza e stanze troppo piccole per garantire il distanziamento.