Emergenza. E’ la prima parola che ci viene in mente parlando di rifiuti. E se la tragica attualità di Palermo invasa dalla monnezza, per il momento, fa registrare una tregua, il resto della Sicilia è appesa a un filo; o meglio, alla decisione degli amministratori giudiziari di Sicula Trasporti di chiudere, a partire dal prossimo 30 aprile, la discarica di contrada Grotte San Giorgio, a Lentini. Un’area immensa, con una capacità di abbancamento superiore a 4 milioni di metri cubi, che serve 174 comuni (al costo di circa 104 euro a tonnellata). Quelli che pagano per l’utilizzo dell’impianto di trattamento meccanico biologico (Tmb), per “depurare” l’indifferenziata, potranno conferire fino alla scadenza. Gli altri sono già fuori, capùt.

La domanda è la seguente: dove finirà la frazione secca? Se ne sta parlando in questi giorni all’Assemblea regionale, in commissione Ambiente, dove in parallelo si sviluppa un’altra discussione: quella relativa alla modifica del disegno di legge dei rifiuti. La riforma che il governo Musumeci avrebbe voluto approvare a novembre 2019, ma a causa della resistenza di Sala d’Ercole e della bocciatura dell’articolo 1 (col voto segreto) fu costretto a ritirare di corsa per le dovute modifiche. “Io non mi arrendo”, sono state le parole di Giusy Savarino, presidente della commissione. Mentre fra le opposizioni prevale lo scetticismo: ad esempio, il Cinque Stelle Giampiero Trizzino sostiene da tempo che è una riforma inutile, dove “il massimo che puoi fare è ridurre gli ambiti territoriali da 18 a 9, e magari cambiargli nome”. Non servirà, insomma, a placare la bramosia dei privati, che di emergenza in emergenza, discarica dopo discarica, dominano il business da un ventennio.

Tra le grandi famiglie che si sono arricchite coi rifiuti, compare quella dei Leonardi, oggi provata da una mega inchiesta giudiziaria che qualche giorno fa ha visto celebrare la prima udienza del processo a carico di Antonello e Salvatore Leonardi, i due imprenditori accusati di avere costruito un impero facendo leva sulla corruzione dei funzionari e sulla vicinanza di alcune cosche mafiose. Secondo il presidente della commissione Antimafia, Claudio Fava, il legame c’è tutto: “Da una precedente indagine”, infatti, si è scoperto che Antonello Leonardi avrebbe pagato “ogni mese 7 mila euro a un messo della famiglia Cappello (di Catania). Disse che si trattava di un’estorsione ricevuta “in eredità”, che aveva già riguardato chi gestiva la discarica prima di lui… In realtà, la vicenda della Sicula Trasporti – spiegava Fava a Buttanissima – dimostra che c’è un territorio comune e conteso fra corruzione e criminalità mafiosa”. Nell’area sequestrata dalla Dia il 4 giugno dello scorso anno fu trovato un milione di euro sepolto sotto i rifiuti. La Sicula, ‘scippata’ ai suoi proprietari, è finita in amministrazione giudiziaria e da qualche tempo ha dichiarato “esaurita” la mega discarica. Con una sola prospettiva all’orizzonte: chiuderla.

Il provvedimento potrebbe avere pesantissime refluenze sui comuni vicini, ad esempio quello di Catania, che abbanca lì la spazzatura. “Non ci sono impianti così grandi in Sicilia da contenere i rifiuti provenienti da Catania, figuriamoci quelli dell’intera discarica. Le soluzioni ci sarebbero – ha spiegato l’assessore all’Ambiente del comune etneo, Fabio Cantarella – ma sono difficili da percorrere. La prima sarebbe l’ampliamento della stessa discarica, ma noi come amministrazione comunale siamo contrari, come lo è anche il sindaco di Lentini”. La Sicula aveva chiesto un ampliamento fino a 8,8 milioni di metri cubi (raddoppiando la capacità dell’impianto). Un modo per tirare avanti quattro o cinque anni. Ma la Regione, che ha già concesso tre ampliamenti fra il 2011 e il 2018 – l’ultimo, firmato dal dirigente generale dell’epoca, Salvo Cocina, era finito nell’occhio del ciclone – sarebbe contraria. Anche il consiglio comunale di Lentini ha già detto ‘no’ alla variante urbanistica. Eppure il Tar, dando ragione alla ditta, ‘obbliga’ di fatto la Regione ad affrontare la vicenda. La palla passa alla commissione Via-Vas di Aurelio Angelini, che ha già presentato 33 osservazioni. Qualora l’autorizzazione verrà negata (improbabile), che fine farà la monnezza? L’unica opzione possibile è il trasporto dei rifiuti all’estero, dato che in Sicilia non ci sono abbastanza discariche pronte a sostenere una simile capacità di conferimento.

Si tratterebbe di una soluzione assai esosa, che non trova il conforto dei Cinque Stelle: “Se davvero Musumeci vuole percorrere la strada di spedire i rifiuti fuori dalla Regione, dichiari il suo fallimento e chieda a Roma di essere commissariato, questa volta non da se stesso, ma da uno bravo”. E ancora: “La proposta di utilizzare i Fondi europei per spedire i rifiuti fuori dalla Sicilia, oltre ad essere improponibile, perché palesemente illegittima secondo la normativa europea, sarebbe un vero e proprio paradosso: quel denaro serve per programmare il futuro dei siciliani ed invece questo governo vorrebbe utilizzarlo per mettere una pezza ai tantissimi errori che ha commesso nel settore rifiuti”. Di fatto, la Regione insegue l’emergenza da anni e ha sempre provato a ‘tamponare’ in qualche modo. Inoltre, fuori da questa prospettiva, resiste lo spauracchio dei termovalorizzatori.

Il sistema dell’incenerimento è ricompreso nelle linee guida dell’ultimo piano dei rifiuti, adottato dalla giunta dopo il parere favorevole del Cga, ma somiglia più a un diversivo che non a una soluzione seria per uscire dall’impasse. Come spiega, infatti, l’on. Giampiero Trizzino, facilitatore nazionale per l’ambiente del M5s, “per costruire inceneritori servono dieci anni e noi viviamo in un’era dove l’Europa ci dice che in discarica dovrebbe finire soltanto il 10% dei rifiuti. Non è una soluzione utile al nostro problema”. E, inoltre, non consentirebbe nemmeno di risolvere il magna magna dei privati: “A realizzare questi impianti – sostiene il deputato M5s a Meridionews – sarebbero comunque altri privati che diverrebbero i nuovi padroni di domani. Basti vedere chi è che finora ha realizzato progetti di termovalorizzatori in Regione”. Una soluzione contro cui si scontra anche Stefano Ciafani, numero uno di Legambiente: “Bisogna evitare di fare impianti di incenerimento, non bisogna partire dalla ricetta già utilizzata 25 anni fa da altre regioni”. Piuttosto, “dobbiamo mettere in campo una nuova politica dei rifiuti in regione, come lo abbiamo fatto 15 anni fa con la Sardegna”. Che oggi, infatti, può crogiolarsi nella sua percentuale di raccolta differenziata, seconda solo al Veneto.

In Sicilia, invece, sono stati commessi troppi errori. Si è privilegiato il sistema discarico-centrico, e solo una percentuale limitata di comuni ha raggiunto il 65%: “In Sicilia- ha detto ancora Ciafani – ci sono capoluoghi che fanno meglio di molte città del Nord Italia come accaduto a Ragusa e Agrigento. Ma i sindaci di Palermo, Catania e Messina devono fare quello che fino ad oggi non hanno fatto. Se la situazione in Sicilia è quella che abbiamo conosciuto oggi è perché le tre aree metropolitane non hanno fatto il lavoro fatto da altre città”. Concetti più o meno risaputi, a cui nemmeno il nuovo assessore all’Energia, l’Udc Daniela Baglieri, sembra in grado di trovare rimedio. Di recente ha rimesso in discussione persino il piano dei rifiuti – su cui c’è il marchio di Pierobon – che sarebbe “in costante divenire”. Un assist ai deputati grillini: “Il piano dei rifiuti, l’inutile libro dei sogni scritto da Musumeci, si è presto rivelato quello che è: aria fritta. Piuttosto che limitarsi ad una ricognizione dell’impiantistica esistente e in divenire, nel Piano avremmo voluto vedere una pianificazione della stessa, al fine di porre le basi per il raggiungimento degli obiettivi che la Regione Siciliana dice di prefiggersi, quale ad esempio quello dell’autosufficienza di ogni ambito territoriale”.

Nell’ambito della monnezza, però, l’astrattismo prevale sul realismo. E le soluzioni sono sempre di passaggio. Alcune, come il ddl rifiuti, restano addirittura in ghiaccio. L’ufficio Studi dell’Ars ha segnalato parecchi rilievi rispetto alla quarta versione – sì, siamo già a quattro – della riforma. Uno, fra i tanti, si riferisce all’articolo 15, quello relativo alla trasformazione delle SRR in Ada (autorità d’ambito), ove si segnala che “andrebbe chiarita meglio la portata della norma avuto riguardo al personale. Non è chiaro quali siano gli effetti nei confronti del personale in servizio presso le SRR”. Un altro, invece, “richiama l’attenzione sul fatto che l’individuazione di 9 ATO (ambiti territoriali ottimali) si discosta da quanto indicato negli atti del governo e delle altre autorità nazionali, e cioè con l’indicazione contenuta nella diffida del Governo del 7 agosto 2015 che indica l’opportunità di costituire non più di cinque ambiti”. I termini per gli emendamenti sono stati riaperti fino a martedì prossimo. La legge dovrebbe andare in aula, forse, prima dell’estate. Voleva essere un fiore all’occhiello dell’azione del governo Musumeci. Un fiore appassito troppo in fretta.