Di cognomi ne ha tre e per la carta d’identità è l’erede di una nobile famiglia palermitana. In realtà, però, Gaia Palma Chiaramonte Bordonaro è molto lontana da quel mondo aristocratico fatto di impenetrabile bellezza. Il suo tesoro è grandissimo ed è tutto racchiuso all’interno della villa in viale del Fante che oggi vuole aprire al pubblico. Quella casa – che è un piccolo museo – fu del nonno, il barone Luigi Chiaramonte Bordonaro Alliata descritto dalla stampa come l’ultimo “Gattopardo”, grande sportivo e pilota ufficiale della Ferrari, e di sua moglie Beatrice Peria Boscogrande. “Era la casina di caccia della mia famiglia, per tantissimi anni è stata disabitata – racconta la donna che, insieme al fratello, oggi vive lì -. Disabitata fino al ’44, anno in cui i miei nonni ci andarono a vivere insieme al loro preziosissimo corredo”.

Un corredo fatto di quadri, maioliche, oggetti, riempiono gli ampi saloni di Villa Chiaramonte Bordonaro ai Colli. Una collezione messa in piedi dal trisavolo che, nell’Ottocento, comprò direttamente dai musei. Ci sono quadri primitivi italiani, del ‘300 e del ‘400, dipinti fondo oro, ci sono i quadri fiamminghi del ‘600 e poi ancora scavi greci, maioliche ispano-moresche e italiane, statue marmoree. Due di questi quadri, la Madonna col bambino di Van Dyck e l’Annunciazione di David Gerard, sono stati scelti dalla Fondazione Federico II per una mostra allestita a Palazzo Reale che ha registrato oltre 140mila presenze. Ed è il successo di questa mostra ‘Sicilie pittura fiamminga’ a dare l’idea per un bis inedito, molto più intimo e raccolto. “Si è pensato di dare la possibilità a chi volesse vedere il resto di rendere la collezione accessibile a tutti”, spiega Gaia Palma.

Per la prima volta, così, una dimora storica non è solo contenitore ma anche contenuto. “È la collezione più importante di tutto il Sud Italia, sia per varietà che per valore – prosegue la Chiaramonte Bordonaro -. Mai nessun quadro era uscito da questa casa prima d’ora. Lo spunto per ‘Dalle Fiandre a Palermo. Arte in dimora’ mi è stato dato dalla Fondazione Federico II. Questa collezione è sempre stata qui, custodita e amata gelosamente. È un sacrilegio non farla vedere. Palermo sta vivendo un nuovo illuminismo di cui abbiamo vagamente la percezione. Prima le dimore storiche erano unicamente luoghi di ricevimenti. Oggi, per la prima volta, apro le porte della casa in cui vivo con mio fratello Luigi e sua moglie insieme a mio marito e alle mie tre figlie (per visitare la mostra è necessario prenotare mandando una mail a info@villabordonaro.it)”.

Il primo a capirne il potenziale attrattivo fu uno studente della Normale di Pisa. Claudio Gulli, dopo uno stage al museo del Louvre, scrisse personalmente a Gaia Palma chiedendole di poter conoscere da vicino la sua vastissima collezione. “Il direttore del museo parigino disse a Claudio Gulli se da palermitano conoscesse la collezione d’arte Chiaramonte Bordonaro. Lui, effettivamente, nonostante il suo percorso, non la conosceva. Lì iniziò uno studio accuratissimo su tutte le nostre opere d’arte. Ne fece una tesi, un dottorato, oggi una pubblicazione. Questa sua indagine, questo suo studio, ha dato un nuovo vigore alla collezione. Una nuova eco. È stato questo studente, con cui oggi c’è un bellissimo rapporto, a farmi avere una nuova sensibilità verso ciò che era già mio e con amore e gelosia custodisco ancora oggi dopo secoli. Il matrimonio con la Federico II, pertanto, si inserisce in un contesto di piena consapevolezza”.

Dopo aver vissuto parte della sua vita in un collegio svizzero, Gaia, che a ottobre compirà 50 anni, sognava di far l’università in America. Fu la nonna Beatrice a invertire la rotta. “Mi disse ‘se non ti prendi cura di tutto questo non lo troverai più, una casa come questa non puoi trascurarla. E allora, all’inizio a malincuore, oggi amorevolmente, mi dedico a questa dimora da quando ho 20 anni. Annastella, la mia primogenita, sogna di fare il medico e ha 19 anni. Poi c’è Greta che ha 8 anni e Beatrice, come la nonna, che è all’ultimo anno di scuola e spero voglia dedicarsi all’arte. Sarebbe il mio sogno, ma probabilmente anche il suo. Mio padre faceva il giornalista, si chiamava Toti Palma. Era al Giornale di Sicilia, poi fu una firma di Panorama e infine inviato speciale per le guerre. Beatrice potrebbe continuare questo percorso artistico che, in un senso e nell’altro, tutta la famiglia ha intrapreso”.

La fatica di gestire un bene cosi tanto immenso, viene stemperata dalla vista da favola che ogni giorno le regala questa villa immersa nel verde. “Mi affaccio su viale Beatrice e penso a lei, a mia nonna, che mi diceva sempre ‘la gente lavora una vita per avere una casa bella e tu ce l’hai già’. Questa casa è enorme, è vero, ha un parco grandissimo, le risorse non sono più quelle di una volta e la mole di lavoro resta infinita. Però per adesso sono particolarmente positiva, abbiamo il riconoscimento delle istituzioni ed anche il sorriso”. La villa, che originariamente si chiamava Villa Carolina in onore della moglie di Ferdinando III di Borbone e che ospitò persino l’ammiraglio Nelson mentre il re si dilettava alla Palazzina Cinese, ospita nel suo giardino una chiglia di nave capovolta sovrastata da una colata di cemento. Era il passaggio sotterraneo necessario a proteggersi dai bombardamenti. “Quando la Marina Militare venne a sapere di questa cosa, la casa fu requisita”. Restò intonsa, e ora è come allora, luogo di straordinaria bellezza e magia.