C’eravamo lasciati, qualche tempo fa, su queste colonne, con l’immagine kafkiana di una giustizia amministrativa dove la certezza del diritto è un terno a lotto. Dove un modo sicuro per avere ragione in giudizio è pilotare una sentenza ammiccando con i magistrati. Meglio, molto più sicuro, se si riesce a corromperli. L’inchiesta della Procura di Messina offre un nuovo capitolo alle cronache giudiziarie. E cioè l’arresto dell’ex componente del Cga siciliano, Giuseppe Mineo. Prima di lui erano finiti nei guai giudiziari due ex presidenti del Consiglio di giustizia amministrativa, Raffaele De Lipsis e Riccardo Virgilio.

Si è scoperto che, partendo da Siracusa e arrivando fino a Roma, gli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara avevano creato un sistema corruttivo delle toghe. Amara ha pure deciso di dare una mano agli investigatori. Si attendono nuovi colpi di scena, dunque. Il caso di Silvana Saguto, giudice radiato dalla magistratura, ha consegnato la pessima immagine della giustizia penale sul fronte delle misure di prevenzione. Ora è la giustizia amministrativa ad offrire il lato peggiore del proprio volto. A Caltanissetta – processo Borsellino Quater – dicono che fior fior di magistrati che hanno fatto carriera non sono stati in grado di smascherare un piccolo delinquentello di periferia che si spacciava per boss e pure per pentito.

Il grande depistaggio lo hanno definito, salvo scoprire che probabilmente il tutto si è consumato nel sottoscala di una questura. Lo sapevano tutti che Vincenzo Scarantino era un pataccaro. Lo sapevano gli avvocati e pure alcuni pubblici ministeri inascoltati da altri autorevolissimi colleghi. Domani a chi toccherà restare nudo di fronte alla storia e alla cronaca? Mala tempora currunt sed peiora parantur per la magistratura. Al peggio non c’è mai fine.