La cernita del libro dei sogni ha lasciato in piedi un solo progetto “vero”: ossia il potenziamento dell’alta velocità ferroviaria sulla linea Palermo-Messina-Catania, dove i treni potranno raggiungere i 200 km/h. Ma la prima bozza del Recovery Plan circolata in questi giorni in Consiglio dei Ministri – che sarà finanziata per circa 209 miliardi, dall’Unione Europa, in funzione anti-Covid – taglia fuori le opere faraoniche che il governo regionale aveva immaginato in prima battuta, a partire dal Ponte sullo Stretto, di cui non c’è traccia. La giunta Musumeci aveva deliberato una proposta da oltre 26 miliardi di euro, di cui una grossa fetta destinati a grandi opere (16 mld, oltre il 60% del plafond). Alla fine se ne aggiudicherà una ventina. Ma nel documento di cui si discute a Roma, e su cui sarà necessario trovare una quadra (Italia Viva minaccia un giorno sì e l’altro pure di scombussolare la tenuta dell’esecutivo), la cifra complessiva destinata alle infrastrutture è di 27,7 miliardi, di cui la maggior parte per l’alta velocità e la manutenzione stradale (23 mld). Logico che ci sarebbe stata una scrematura.

Musumeci & company, però, non se l’aspettavano così netta. D’altronde hanno perso giorni ad accontentare i vari componenti della coalizione di governo, con proposte più o meno farlocche (è stata scartata in partenza, però, quella di realizzare un acquario). Fratelli d’Italia, ad esempio, aveva ottenuto di inserire nel prospetto – discusso solo nei recinti del centrodestra e da cui, invece, sono state tagliate fuori le opposizioni – un centro di produzione cinematografica nell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese: una sorta di Cinecittà in salsa sicula che a Roma nessuno si è filato. Ma non serve andare troppo lontano: anche la proposta di un “attraversamento stradale e ferroviario stabile dello stretto di Messina, collegando così la Sicilia con la Calabria e la penisola italiana”, cioè il Ponte sullo Stretto, è diventato carta straccia. Una precedente mozione approvata alla Camera dei Deputati, d’altronde, aveva manifestato il desiderio delle forze di maggioranza di procedere – prima – con opere più utili: ad esempio, i collegamenti ferroviari, di cui l’Isola è sguarnita.

Non che l’inserimento dell’alta velocità fra Palermo e Catania, passando da Messina, sia garanzia di successo. Questi 318 chilometri di ferrovia, che prevedono un investimento di oltre 6 miliardi, erano stati inseriti anche nel piano “Italia Veloce”, allegato al Decreto Semplificazioni, elaborato l’estate scorsa dal governo Conte. E continuano a fluttuare da una programmazione all’altra, in attesa di diventare realtà. Fra le opere più importanti che la Regione s’è vista respingere, almeno per il momento, ci sono pure il nuovo aeroporto internazionale che sarebbe dovuto sorgere fra Milazzo e Barcellona Pozzo di Gotto (proposto dal capogruppo di Forza Italia, Tommaso Calderone), cioè il quinto scalo dell’Isola; il porto hub del Mediterraneo, a Marsala o Palermo, su cui aveva spinto Saverio Romano, che difficilmente “strapperà” all’Europa i 5 miliardi di finanziamento necessari; e la Pedemontana di Palermo, per collegare i due estremi della città evitando l’attraversamento di viale Regione Siciliana.

Ma anche opere più avveniristiche, come il Centro di Tecnologie e Astrofisica spaziale del Parco dei Nebrodi, la funivia per collegare il versante Nord dell’Etna e il fiume Alcantara, o l’anastilosi del tempo di Selinunte (cioè la ricostruzione mediante pezzi originari), non fanno parte della lista della spesa. I voli pindarici della Regione sono durati lo spazio di poche settimane. L’intero piano è stato smantellato da esigenze di carattere superiore che, comunque, dovrebbero portare alla Sicilia importanti benefici: secondo le bozze di palazzo Chigi, infatti, dovremmo essere la Regione che beneficerà del miglior rimbalzo di Pil da qui al 2024 (+5,74% rispetto a quello già previsto), e anche l’occupazione dovrebbe fare segnare un +4,1% rispetto alle previsioni. I prossimi anni potrebbero essere segnati dalla crescita. E non grazie al Ponte.

Lo Stato, infatti, ha deciso di intervenire in Sicilia con altre opere in grado di garantire sviluppo. Una quota dell’investimento sarà destinata alla tutela e alla valorizzazione del “patrimonio culturale nazionale, massimizzandone i benefici economici, sociali e culturali per le comunità locali e garantendone la sostenibilità anche dal punto di vista ambientale”. A questo proposito, Palermo vedrà sorgere un nuovo auditorium all’interno dell’ex Manifattura Tabacchi. Mentre l’agevolazione delle imprese passerà dal potenziamento delle due Zes (zone economiche speciali), e da nuove misure per l’attivazione del lavoro giovanile e femminile. Inoltre, verranno realizzati nidi e asili. Ma l’ultima frontiera è quella della “rivoluzione verde”. Il governo Conte ha deciso di destinare al capitolo della transizione ecologica risorse per oltre 74 miliardi di euro. Nelle isole minori della Sicilia, ad esempio, dovrebbero sorgere 38 sistemi Iswec, cioè delle centraline che ricavano energia dalle onde del mare, risolvendo il problema dell’approvvigionamento elettrico e dell’impatto ambientale.

Infine, va fatto notare che anche i progetti presentati dal Comune di Palermo per il Recovery Fund sono stati “annacquati”. Lo scorso settembre la giunta Orlando presentò una serie di proposte per oltre 4 miliardi: tra queste, la prima tratta della metropolitana leggera da De Gasperi alla stazione centrale (confermata anche dalla Regione); il potenziamento della flotta dei bus a metano ed elettrici e della rete bike e car sharing; la realizzazione di piste ciclabili e parcheggi di interscambio; il completamento della rete dei tram. Quest’ultima verrà comunque realizzata grazie a fondi statali (per 487 milioni) grazie a un’intesa messa nero su bianco qualche giorno fa, fra la ministra De Micheli e il sindaco Orlando, in Conferenza Stato-Regioni. Per vedere la città ri-trasformarsi in un cantiere, e i tram attraversare Palermo senza nessuno a bordo, non saranno necessari i fondi dell’Europa. Che, a parte sorprese dell’ultimo minuto, non finanzierà, per 120 milioni, neanche il massiccio intervento per il polo impiantistico di Bellolampo e la raccolta differenziata.

Come spiega l’ex assessore regionale Cleo Li Calzi, che oggi fa la change manager, in una nota su Facebook, “la dotazione progettuale per la Sicilia di 20 miliardi per opere e aiuti alle imprese potrà davvero rimettere in moto il sistema”. Ma “ci sono due precondizioni (ben affrontate nel documento) che dovranno essere risolte per cogliere questa opportunità. La prima riguarda le riforme che dovranno essere fatte, a partire dal codice degli appalti. La seconda, non meno urgente, il sistema di governance che non potrà avere tutte le disfunzionalità di quello che oggi sovrintende la spesa dei fondi strutturali”. L’obiettivo è saper spendere, e spendere bene. O si rivelerà l’ennesima occasione persa.