l contrasto stridente fra ciò che è stato e ciò che è diventato è il Natale. Sembra ieri che la Regione siciliana, “di fronte al cinismo dei vertici Alitalia e all’insensibilità del governo centrale”, organizzava l’incredibile traversata della penisola a bordo dei pullman dell’Ast, per dare la possibilità a lavoratori e studenti fuorisede di tornare in Sicilia e di farlo a tariffe congrue. Chissenefrega della sfacchinata, l’importante era esserci. La partenza di questi “carrozzoni” dai depositi di Catania, accolti da telecamere in trionfo, ricordava i vecchi film in bianco e nero. La cifra di un’epoca derelitta, incapace di colmare il gap rispetto alle regioni del Nord e garantire a tutti le medesime condizioni di partenza (non soltanto prima di un viaggio). Dodici mesi fa c’era persino l’autore di un blog – “Un terrone a Milano” – che si inventò il bus della speranza, facendosi finanziare da una manciata di sponsor, per garantire a 82 persone di tornarsene al Meridione, e di riabbracciare i propri cari per Natale. L’obiettivo era l’affermazione delle pari opportunità, sconfiggere le vessazioni e i prezzi sempre più opulenti di alcune compagnie di trasporto. L’unico modo era l’organizzazione fai-da-te.

Forse, oggi, pagheremmo oro per viaggiare a bordo di un pullman dell’Ast scassato. Dal 21 dicembre – con lo stop alla mobilità regionale – verrà meno anche questo. Ma il tema del viaggio, sebbene sia cambiata la prospettiva, resta al centro di tutti i discorsi prenatalizi. La pandemia, però, ci impedisce di organizzare un fact checking sulle promesse che la politica fece allora: cioè che i biglietti sarebbero costati di meno, che alcune categorie di persone sarebbero state “riprotette” sotto le feste, eccetera eccetera. Niente, non potremo verificare quasi nulla. Il punto d’osservazione è tragicamente cambiato e oggi, a distanza di un anno, anche la Regione (si scherza, ma non troppo) farebbe il possibile per ripristinare quel “vergognoso costo del biglietto aereo che in alcuni casi supera gli 800 euro”, e che fino a dodici mesi fa presupponeva “una battaglia per la giustizia che condurremo senza tregua”. Oggi, invece, sarebbe un motivo in più per non mettersi in viaggio.

L’unico deterrente ai rientri di massa, che al Nord sfottono – “La Stampa” di Torino ha parlato di “mammoni del brindisi” per etichettare un popolo in movimento – e che al Sud temono, sarebbe proprio l’esasperazione dei prezzi dei biglietti. Che, almeno fino a ieri, erano moderatamente bassi: prenotare un volo con WizzAir, la compagnia polacca più competitiva su piazza, costa 74 euro da Milano a Catania e 55 da Roma a Palermo. Roba che neanche al mercato dei pegni, considerando che racchiudono andata (il 18 dicembre) e ritorno (il 7 gennaio). Costa un po’ di più andare da Malpensa a Fontanarossa (96 euro) o da Fiumicino a Punta Raisi (93 euro). Dal 18 dicembre, inoltre, partiranno anche i volti della continuità territoriale, quelli che dovrebbero salvare gli scali di Comiso e Trapani da un destino infausto. Alitalia garantirà i collegamenti dalla Sicilia orientale con Roma Fiumicino (due volte al giorno) e Milano Malpensa. Mentre da Birgi, l’aeroporto mantenuto dalla Regione (che è socio unico di Airgest), si potranno raggiungere sei mete sparse per l’Italia, fra cui Napoli. Tutte a tariffe calmierate per i residenti. Una fortuna.

Ma è chiaro che dal 21 dicembre (e fino al 6 gennaio) qualsiasi movimento extraregionale – nonostante le newsletter delle compagnie aeree trasudino ottimismo – è giustificato soltanto da motivi di lavoro, di salute o da condizioni di necessità (tra questi non rientrano i veglioni o le cene tra parenti). Il viaggio è visto alla stregua di un redde rationem della pandemia. Gli arrivi e le partenze sono quelli che determineranno, o determinerebbero, l’entità della terza ondata (che pur non essendo usciti dalla seconda, danno tutti già per certa). Un gioco a perdere che la Regione, anziché agevolare con gli autobus, prova a “contrastare” coi tamponi. L’obiettivo di Musumeci e Razza, sentito il comitato tecnico-scientifico, è di imporre i test rapidi per tutti i viaggiatori provenienti da mete nazionali e internazionali. Con lo stesso procedimento visto in estate, che, almeno nei primi giorni, bloccò centinaia di passeggeri all’aeroporto Falcone-Borsellino, tutti assembrati, in attesa dell’esito dell’esame (l’esperimento fu poi ridimensionato, e rivolto soltanto a chi giungeva dagli Stati a rischio).

Sarà difficilissimo garantire uno screening agli arrivi: più che altro perché bisogna arruolare almeno cento nuovi medici e destinare le Usca – le unità speciali di continuità assistenziale, che hanno fatto acqua sul tracciamento – non solo nei quattro scali siciliani, ma anche nei porti (mentre non sarà possibile in alcun modo mettere paletti nelle stazioni dei treni). Per non parlare delle code che potrebbero venirsi a creare. Insomma, l’intento è nobile e per certi versi necessario, ma non ci sarà abbastanza tempo per sperimentarlo. Per ovviare alla naturale confusione che l’attesa genera. Ma di questi tempi di fronte alla confusione si paga dazio, per cui occorre un’organizzazione capillare. E occorre ribadire il concetto che è meglio non affollarsi, non correre fra le braccia dei nonni, evitare i pranzi dissennati. Bisogna predicare prudenza.

Restando agli aspetti tecnici della vicenda, poi, un test rapido, per quanto attendibile, non è mai definitivo: punto 1), non sarà utile a determinare la circolazione del virus (non sempre), dato che il periodo di incubazione è di 14 giorni; punto 2), esigerebbe la ripetizione del test a distanza di quattro o cinque giorni, che però non potrà essere imposta in alcun modo ai soggetti che hanno già acconsentito una prima volta. Spalmare la possibilità dei drive-in anche nelle ore notturne – come si vorrebbe fare a Palermo, alla Fiera del Mediterraneo – è un’altra operazione meritoria, sulla cui validità è necessario riservarsi un margine di dubbio. Fra l’altro il tracciamento, grave carenza siciliana durante questa seconda ondata, è sempre un grosso rebus (chissà quanti asintomatici ancora in giro). I motivi per ansimare non mancano.

La foga dei regali, quest’anno, sarà scalzata dalla fuga dai tamponi. Il relax sul divano, dall’isolamento fiduciario. I viaggi di piacere (ammassati e senza aerazione), dal terrore dei contatti umani. Il richiamo della propria terra, da quello alla responsabilità. La vista del presepe, dalla sorveglianza sanitaria. I numeri della tombola, dal bollettino del Ministero. La festa, da un continuo psicodramma. Sarà pure sobrio, ma si candida ad essere il Natale più brutto di sempre. Nonostante i voli a prezzo di saldo.