“Se non fosse piovuto nella notte dal 17 al 18 giugno 1815, l’avvenire dell’Europa sarebbe stato diverso. Poche gocce d’acqua in più o in meno hanno messo in bilico Napoleone; per far di Waterloo la fine d’Austerlitz, la Provvidenza ebbe solo bisogno d’un po’ di pioggia e una nube che attraversò il cielo a dispetto della stagione bastò per il crollo d’un mondo”. Così Victor Hugo attribuisce alla pioggia la fine di Napoleone nella memorabile battaglia, e così, quasi negli stessi giorni di giugno di duecentosei anni dopo, in Sicilia, un’altra operazione Waterloo, dal nome grondante, questa volta, ironia amara, scompagina gli equilibri della Girgenti Acque (e non solo) determinando anche qui “il crollo di un mondo”, seppure, stavolta, in assenza di pioggia.

Che l’acqua sia un bene prezioso, ormai lo sanno anche i bambini, che già nei loro primi anni di studio lo scoprono a scuola, e prima in famiglia. Ma in un tempo in cui “si conosce il prezzo di tutto e il valore di niente”, la parola prezioso evoca spesso, in molti di coloro che gestiscono la cosa pubblica o magari amministrano proprio quell’ente di cui dicevamo, immagini di grandi alberghi, viaggi, lusso e tanti altri benefici di natura personale, così come il deserto che avanza probabilmente accende fantasie da mille e una notte.

E invece il deserto che avanza è fatto di sabbia, è arido e non si può coltivare, in assenza di acqua. In assenza di acqua, muore la cultura insieme alla coltura, si dissecca la nostra interiorità, si raggrinziscono i nostri valori, muoiono i sogni per sempre, si spengono l’immaginario e la progettualità, le radici non trovano l’impeto per affondare nel suolo e nessuna pianta o albero possono, di conseguenza, innalzarsi verso il cielo.

In assenza di acqua, in una provincia come quella di Agrigento, storicamente definita come la provincia dell’eterna sete, là dove ormai i tetti antichi appaiono deturpati da cisterne azzurre o grigiastre di varie dimensioni che sciupano le sfumature naturali delle belle tegole giustapposte, là dove l’acqua viene un giorno sì e un giorno forse e a volte salta anche settimane ma la bolletta no, è sempre là ad attendere, salata pure quella, a portar via l’ultimo residuo di umidità dalle tasche di chi deve pagare senza discutere, in assenza di acqua, chi prosciuga anche quello che non c’è a proprio esclusivo vantaggio è un miserabile – e stavolta non nel senso inteso da Victor Hugo.

La vera Waterloo è quella in cui sono state spazzate via la cultura e con essa ogni speranza di progettualità, di operosità, trasformazione, impegno, relazione; quella, in una parola, in cui viene meno l’interessere, sostituito biecamente dall’interesse personale.

Quale esperienza “radicale” è mai possibile in una simile situazione? Quale può mai essere la connessione che ci rivela interdipendenti gli uni dagli altri ma anche dal pianeta, da tutti gli esseri viventi, dall’ecosistema? Senz’acqua tutto secca e rimane soltanto la visione della corruzione fetida di ciò che giace in superficie, rimane il degrado di chi svilisce il senso stesso del proprio essere e non soltanto quello del proprio ruolo, rimangono le carogne.

Molto diversamente, un tempo i nostri antenati piantavano alberi anche se non sempre riuscivano a coglierne i frutti. E proprio le campagne dell’agrigentino sono disseminate (per quanto tempo ancora?) da quelle presenze vive, silenziose e ancestrali che continuano a consentirci di cogliere olive, di spremerne l’olio, di esprimere, cioè, fiducia nella vita diffondendo pace, attivando l’economia attraverso il lavoro, quel lavoro che crea, trasforma, intesse, connette.

Quel lavoro che ci rende compagni, perché mangiamo tutti insieme lo stesso pane.