Esiste una stretta correlazione fra populismi: Agrigento è una delle province d’Italia con il più alto numero di persone che vive in nuclei familiari che beneficiano del reddito di cittadinanza (il 10,63%). Appena fuori dalla top ten, dove svettano Crotone, Napoli e Palermo. Ma è anche la terza, in termini percentuali, ad aver votato “sì” al taglio dei parlamentari: l’80,69%. Solo le due calabresi, Crotone e Cosenza, fanno registrare un dato più elevato. I numeri racchiudono un bel pezzo di verità. E questa fetta del Mezzogiorno, in cui l’assistenzialismo (spesso) indossa la maschera del bisogno, è quella in cui il Movimento 5 Stelle – si votasse domani – riuscirebbe a sopravvivere. E’ a questa fetta del Paese che i grillini hanno lasciato in eredità il Reddito di cittadinanza: per alcuni ultimo appiglio di sopravvivenza, per altri un modo di rosicchiare denaro allo Stato. Praticando l’arte del “divanismo” o, peggio, lavorando in nero.

La Sicilia è una delle Regioni dove il sommerso prevale. Lo testimoniano gli ultimi dati Istat sull’occupazione: a fronte di 76 mila posti di lavoro bruciati (sono 585 mila in tutta Italia), l’unico settore in crescita nel secondo trimestre del 2020 – in piena pandemia – è quello dell’edilizia. Sedicimila posti di lavoro creati dal nulla, mentre il Paese si fermava. Come si spiegano? “Chi non segnalava i propri dipendenti potrebbe averlo fatto in quei mesi pur di accedere ai benefici – ha detto Massimiliano Miconi, presidente dei costruttori palermitani, a “Repubblica” –. Anche perché il settore non segnala aumenti in termini di massa contributiva”. Suona come un’autodenuncia da parte del settore: pur di salvare le penne, dichiariamo (per una volta) che esistete. Tuttavia, in Italia il sussidio è stato revocato ad appena 8.200 nuclei familiari sul milione e trecentomila che lo percepiscono. Ma al netto del lavoro nero, che resta una delle conseguenze beffarde dell’assistenzialismo, il fenomeno dei sussidi va riformato.

Lo hanno capito anche gli alleati di governo del Movimento 5 Stelle. Ossia il Pd, che rinfrancato da un risultato elettorale decente (meno del 20%, ma è comunque il primo partito alle Regionali), è passato all’incasso. Ottenendo che il Ministro dell’Interno Lamorgese avviasse l’iter per cancellare i decreti di Salvini sui migranti, inventandosi un provvedimento più “umano” ma tutto da valutare. Il secondo obiettivo, certamente più spigoloso, è convincere i grillini a cambiare marcia sul Reddito. Lo ha spiegato il vicesegretario “dem”, Andrea Orlando: “Chiederemo di ripensare un meccanismo che è servito per evitare una crisi sociale, ma che adesso dovrà diventare anche uno strumento che consenta alle persone di trovare lavoro”. Questa affermazione è figlia di una certezza: il sistema fin qui non ha dato gli esiti sperati. Almeno in termini di politiche attive del lavoro.

Tanto che la discussione di questi giorni si rifà a un’unica preoccupazione: come faranno i percettori del sussidio a sopravvivere per un mese senza. Il 30 settembre, per molti di loro, scatterà infatti la “sospensiva”. Cioè un meccanismo già previsto al momento dell’istituzione (aprile 2019), che prevede alcune verifiche tecniche al termine dei primi diciotto mesi. Badate bene: la misura sarà prorogabile per un altro anno e mezzo, ma bisognerà prima inoltrare una nuova richiesta ai Centri per l’Impiego o nei Caf. Di questi tempi, a causa della burocrazia-lumaca, rallentata ulteriormente dall’evoluzione del virus, non è escluso (anzi, è assai probabile) che la questione si trascini per le lunghe. E che il divano cominci a provocare qualche prurito. In Sicilia sono circa 100 mila i beneficiari che manifestano le prime ansie, su una platea complessiva di 560 mila “assistiti”.

Molte di queste persone, per motivi indipendenti dalla loro volontà, resteranno inoccupate anche in futuro (nell’Isola la percentuale di chi non cerca più un lavoro ha sfondato il 50%): soltanto una minima parte dei percettori, 120 mila persone, sono idonee all’attività lavorativa (in 75 mila hanno firmato il “Patto per il Lavoro”), di cui 58 mila sotto i 35 anni. Tutti gli altri invece sono inabili o non posseggono una qualifica. Come nel caso dei 13 mila che il personale dei Centri per l’impiego, già dal mese di settembre, ha invitato a iscriversi nei Cpia (i centri per l’istruzione degli adulti) per completare la formazione minima e garantirsi la licenza media. Ma di questa platea così vasta, com’è normale, fanno parte anche i furbetti. Contro cui non c’è rimedio. Né lavoro.

Dopo la terza offerta andata a vuoto, dovrebbero decadere dal beneficio, ma durante il lockdown la condizionalità è stata sospesa, facendo venir meno uno dei presupposti di questa misura: cioè l’ingresso nel mercato del lavoro – lento ma progressivo – grazie a misure di sostegno al reddito. Che, come asserito più volte, non dovrebbero né potrebbero sostituirsi a una forma d’impiego vera e propria. Ma è altrettanto assodato che le bacheche dei Cpi, gli ex centri di collocamento, sono spesso vuote. L’unica alternativa per sopperire a questa “siccità”, che gli enti locali hanno iniziato a sperimentare, sono i Puc, i piani di utilità collettiva. Alcuni volontari, a Palermo, stanno ripulendo due volte a settimana i quartieri Zisa e Noce, e grazie a un protocollo con le scuole, svolgeranno servizio all’ingresso delle elementari, per evitare che si creino assembramenti. Peccato che, come rivelato da Repubblica, tra i 390 Comuni siciliani solo undici hanno sottoscritto i patti con la Regione utilizzando 58 percettori di reddito: “Ma siamo ottimisti – dicono da Palazzo d’Orleans – in fase di sottoscrizione ci sono altri 144 patti per un totale di 22 mila persone coinvolte”.

La preoccupazione monta col passare delle ore. Ed è stato lo stesso assessore regionale al Lavoro, Antonio Scavone, a esternare il proprio stato d’animo in una lettera rivolta al Ministro competente, la siciliana Nunzia Catalfo: “Parliamoci chiaro, rischiamo una sommossa nelle nostre città se non ci saranno garanzie sul ripristino dell’assegno. Ho sollecitato alla ministra una circolare da inviare agli uffici per accelerare le pratiche visto che l’emergenza Covid rende di difficile accesso le nostre strutture e anche i Caf che devono rispettare le norme anti Covid”. “In Sicilia sono 19 mila i percettori di reddito che hanno ottenuto un contratto a tempo determinato – dice Scavone -. Si tratta di lavori stagionali, nel settore turistico alberghiero, e di lavori per operai non specializzati”. Ma all’ultima rilevazione effettuata dall’Anpal, un paio di mesi fa, i contratti tuttora attivi sarebbero 14 mila.

Poco importa. Il primo pensiero della politica, in questa fase, è evitare di interrompere l’erogazione del sussidio. La Catalfo, che qualche giorno fa è stata audita alla Camera, non ha mai nominato il Reddito di cittadinanza, tanto meno l’Anpal, nelle proposte da inserire al Recovery Fund. E non ha citato nemmeno i 2.874 “navigator” (poco meno di 400 in Sicilia), a cui di recente è stato consegnato un “pacchetto” coi nomi di migliaia di imprese. Il compito, come spiega Linkiesta, è verificare se le aziende esistono ancora, correggere i dati sbagliati, inserire indirizzi e numeri di telefono. Una volta fatta la verifica con il registro imprese delle Camere di commercio e l’Agenzia delle entrate, si contattano le aziende per avere il consenso all’inserimento nella nuova piattaforma Moo (Mappa delle opportunità occupazionali). Uno strumento previsto dal piano industriale 2020-2022 di Anpal Servizi come risposta all’emergenza Covid-19, per avere una mappatura dei fabbisogni occupazionali. I navigator, che Piero Fassino aveva proposto di schierare nelle scuole al fianco del personale Ata, stanno svolgendo mansioni assai diverse da quelle per cui erano stati selezionati. A proposito: il loro contratto di venti mesi scade nel prossimo aprile. Toccherà anche a loro cercarsi un lavoro.

Il 1° settembre l’Anpal, l’Agenzia nazionale delle politiche attive guidata da Mimmo Parisi (prodotto d’importazione di Luigi Di Maio, direttamente dal Michigan), aveva diffuso un comunicato per spiegare che su 1.048.610 percettori del reddito ritenuti “idonei al lavoro” (su un totale di 2,2 milioni beneficiari), quelli che hanno trovato un’occupazione sono 196.046, di cui 100.779 attivi al 7 luglio. Poco più della metà dei contratti firmati. Appena il 9,6% degli idonei. Da qualunque prospettiva li si legga, non sembrano numeri entusiasmanti. Gli unici a resistere, in quest’Italia provata dalla pandemia, sono ancora i “divanisti”.