Sulla carta è una cantante. Ma gli artisti, si sa, hanno la sensibilità per cambiar pelle senza cambiare anima. E l’anima di Alessandra Salerno racconta istrioniche capacità. È autrice dei testi che porta sul palco, è musicista di uno strumento bizzarro che nasce con il folk americano e che in Italia suonano in una manciata appena, è stilista degli abiti che indossa in scena e, da adesso, è anche un’attrice “bipolare” nel senso nobile del termine, nel senso che sa tirar fuori tutta la drammaticità che s’impone dal copione contemporaneamente alla leggerezza, al sorriso, alla spontaneità di chi sa far ridere coinvolgendo. “E non ho mai studiato recitazione – spiega -. Il teatro lo sentivo dentro, ma il mio sogno era ed è sempre stato il canto”.

Dopo il battesimo sul palcoscenico del Teatro Antico di Segesta con Shakespeare in Brexit, è di nuovo Salvo Piparo a volerla al suo fianco per la ri-edizione del Trionfo di Santa Rosalia, il colossal teatrale trattato dai canovacci di Salvo Licata. “Io di Piparo nasco fan – racconta Alessandra Salerno -. Anzi, precisamente nasciamo fan l’uno dell’altro. Lui veniva ad ascoltarmi quando cantavo ancora nei localini, io andavo a vedere ogni anno lo spettacolo che poi mi ha visto nel cast. Per me era un sogno immaginarmi lì, lavorare con lui al fianco di questa indescrivibile squadra di professionisti. Lavorare a Palermo, così, in questo modo, è per me come se fossi a New York”.

R, patrona è il secondo spettacolo che vede Alessandra Salerno nei panni di attrice. Nella piéce omaggio a Rosalia, interpretata da Costanza Licata sotto la regia di Clara Congera, interpreta un angelo che scandisce con il suo bel canto la drammaturgia della vita della santa che, proprio a Palazzo Reale, tra il suggestivo Cortile Maqueda e la Cappella Palatina, visse. Da bambina, però, sognava di fare la cantante. “Avevo una bella voce, ero la voce solista del coro alle elementari. Amavo e amo il folk, ho sempre avuto la passione per l’arte, per il disegno, per la moda. Cantavo le canzoni di Rosa Balistreri e nel frattempo mi dilettavo a creare vestiti. Ancora oggi, gli outfit per le occasioni importanti, li realizzo io da zero”.

Oggi è la cover girl di Autoharp Quarterly il più importante magazine del mondo dedicato allo strumento che suona. “Conosco l’autoharp perché sono una persona curiosa. Lo avevo visto in alcuni video, ascoltando la musica che mi piace – spiega la Salerno -. Amo la musica country americana e questo strumento, che nasce dalla famiglia del dulcimer europeo, è stato portato in America dagli emigrati divenendone presto un marchio di fabbrica. È lo strumento del folk, della musica blues. Ha la forma dell’arpa, anche se emula il suono della chitarra e tecnicamente ha la logica di una fisarmonica. Amo il canto ma sul palco è fortissima l’esigenza di suonare, di accompagnarmi, e l’autoharp è come me. Mi rappresenta”.

In cantiere adesso c’è un album. “Un album che vuole essere un abbraccio tra l’Italia e l’America, la mia seconda casa. C’è anche il contributo di Fabrizio Sotti, un importantissimo produttore internazionale – conclude la Salerno -. In questo disco saranno presenti canzoni inedite, in italiano e in inglese, ma anche alcuni omaggi alla musica italiana ri-arrangiati in lingua inglese. Come Never ending, la versione inglese di Senza fine di Gino Paoli. Non ci sarà Lu canticu di li animi, una canzone che ho scritto appositamente per lo spettacolo su Rosalia”. Una poesia cantata proprio quando la peste, la morte, porta con sé una bambina. Sarà proprio quella musica ad accompagnare l’anima nel suo ultimo viaggio.