Enrico Colajanni ha 67 anni, ma a vederlo non ci crederesti mai: agile, asciutto e vitale. Molti di questi ultimi anni li ha passati nella lotta alla mafia e al racket, distinguendosi per serietà, sobrietà, passione civile. Per moltissimi è un esempio della vera antimafia, quella che non ci ha costruito carriere e privilegi e che è lontana da slogan e teoremi. Fondatore di Addiopizzo e poi di Libero Futuro, oggi è alle prese con uno sciopero della fame, per protestare contro la decisione della Prefettura di Palermo che ha soppresso ben quattro associazioni antiracket del circuito di Libero Futuro, con l’accusa di aver favorito interessi mafiosi assistendo imprenditori sospettati di collusioni con la mafia.

Come procede con lo sciopero della fame?
“Per fortuna godo ottima salute. I miei pasti sono tre, più o meno quelli di Pannella e dei suoi scioperi della fame ossia tre cappuccini, qualche vitamina e molta acqua”.

Questa pronuncia della Prefettura non l’ha proprio digerita, è proprio il caso di dire…
“Assolutamente no: un vero pugno nello stomaco per quanti hanno creduto e credono nel lavoro di assistenza alle vittime del racket. I numeri ci dicono che LiberoFuturo ha assistito ben 300 vittime del racket (nei territori di Palermo, Agrigento e Trapani), riconosciute tali, e risarcite per questo. Il prezioso lavoro di Libero Futuro è lì, basta leggerlo”.

Che idea si è fatto di questa vostra vicenda?
“Siamo stati poco ortodossi. Un comandante provinciale dei carabinieri una volta me lo disse…”.

Cosa?
“Che la nostra azione era poco istituzionale, fuori dagli schemi sebbene sempre rispettosi delle leggi e delle persone. Ci siamo permessi di criticare alcune storture e abbiamo denunciato per primi insieme a Pino Maniaci, che abbiamo sostenuto nelle sue battaglie, l’assurdità e la violenza del sistema Saguto. Il più grande scandalo della storia giudiziaria italiana”.

La cronaca sembra darvi ragione, forse un giorno anche la storia.
“La cosa che mi appare inspiegabile è la disinvoltura con cui si muoveva la Saguto e il suo entourage, ma anche Montante e il suo sodalizio: esempi di connubbi tra sistemi di potere, banche, servizi segreti, politica affaristica. Denunciammo nel silenzio generale le incongruenze del sistema delle Misure di prevenzione di Palermo e criticammo anche la Commissione nazionale antimafia presieduta da Rosy Bindi: le nostre, sia chiaro, erano critiche costruttive, fondate. Non ci sono state perdonate. LiberoFuturo nel 2015 abbandonò la Fai, la Federazione antiracket italiana, quella presieduta da Tano Grasso, per una diversa concezione delle associazioni antiracket: per loro il ruolo delle associazioni antiracket non può che essere paraistituzionale, per noi invece si fonda sulle energie e sulla spontaneità della società civile. Anche per quella decisione oggi paghiamo un prezzo”.

Sta ricevendo solidarietà per questa sua azione di protesta?
“Sì, soprattutto sui social media e questo mi incoraggia a non mollare ma non posso non constatare grande indifferenza da parte di certa stampa e di certi organi istituzionali, Diamo fastidio. Tutto qui: l’assetto generale delle misure interdittive e delle misure di prevenzione è un sistema emergenziale che va rivisto e adeguato. Ma ci vuole la volontà politica per farlo e molto coraggio. Io di certo non mi fermo”.