Ora che persino a Roma s’avanza l’ipotesi di un modello Ursula per eleggere il prossimo capo dello Stato, la candidatura della Sicilia per ospitare una triplice alleanza un po’ anomala – composta da Pd, Cinque Stelle e Forza Italia – prende improvvisamente quota. Anche se nessuno, specie fra i grillini, è pronto ad ammetterlo. Guai ad allearsi con Berlusconi e Miccichè. Eppure, dalla Capitale, arriva un manifesto emblematico: ritrae insieme (in senso figurato) l’ex capo politico dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, e il ras della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta. Sono diventati colleghi di governo. Anche se, potrebbe obiettare qualcuno, c’entra poco con Ursula – cioè la presidente della commissione europea, che ha avuto i voti di Popolari, Socialisti e Verdi – e molto con Draghi e Mattarella: un’operazione necessaria in un momento d’emergenza, per rimediare al ribaltone di Matteo Renzi e al rischio di nuove urne.

Ma non è un caso che il primo a muoversi su questo terreno scivoloso, in Sicilia, sia stato Gianfranco Miccichè. E che proprio il commissario regionale di Forza Italia, nel tentativo di fare resistenza ad alcuni falchi salviniani che gli svolazzavano sulla testa, abbia prospettato l’idea di un “modello Draghi” applicato all’Isola. Draghi vuol dire tutti. Tutti quelli che ci stanno. Una sorta di comitato di salute pubblica – ma si tratterebbe di un governo ultrapolitico e ultrapartitico – per avviare un processo di pacificazione alla Regione e, forse, per dimenticare in fretta quattro anni di Musumeci. Miccichè non ha chiamato a raccolta nessuno. Si è limitato a suggerire che un’eventualità del genere, visto cosa accade a Roma, sarebbe sbagliato non considerarla. Da quel momento, però, nulla è più come prima. E l’intervento di due autorevoli esponenti del Partito Democratico, dopo l’apertura di Claudio Fava a un dialogo coi moderati, ha fatto intendere che la fessura potrebbe diventare un varco.

“L’anomalia è che Forza Italia stia con Matteo Salvini e Giorgia Meloni, non che pensi a dialogare con noi – ha detto Antonello Cracolici -. Va favorita la possibilità di aprire una prospettiva politica nuova in Italia e in Sicilia”. Gli ha fatto eco Anthony Barbagallo, segretario regionale del Pd: “Popolari e socialisti governano insieme ovunque. Non c’è nulla di male a sentirsi”. Barbagallo e Miccichè lo avrebbero fatto negli ultimi giorni, ma questi vertici bilaterali, avvenuti (si dice) in gran segreto, avrebbero coinvolto un altro esponente di calibro della politica siciliana: vale a dire Giancarlo Cancelleri, sottosegretario alle Infrastrutture ma, soprattutto, leader regionale del Movimento 5 Stelle. Rapportando il clima generale a una situazione meramente locale, capite bene che siamo ben oltre Ursula. Ci addentriamo in una prospettiva mai esplorata prima, molto più vicina alla fantapolitica che non alla politica vera e propria. Veri e propri rumors a cui, però, sono ammiccamenti e dichiarazioni ufficiali. Se davvero fosse il momento di stravolgere gli equilibri?

A perderci potrebbe essere soprattutto il Movimento 5 Stelle. O meglio, quel blocco granitico che ha organizzato gli ultimi quattro anni, in trincea, contro il governo Musumeci. E di riflesso contro Micciché, imputato di essere il massimo rappresentante della “casta”. Tra il presidente dell’Assemblea e i deputati M5s sono spesso volate parole grosse. Luigi Sunseri, uno degli esponenti più autorevoli delle truppe pentastellate, ha contrastato sul nascere ogni ipotesi di accordo: “Non può esserci spazio per persone come Gianfranco Miccichè. Che pur di salvare se stesso sembra inseguire improponibili alleanze. E, soprattutto, non c’è più spazio per il presidente Musumeci”. Musumeci, da questo piano, rimarrebbe fuori. Troppi i contrasti col Pd e coi Cinque Stelle, innegabili le divergenze con l’establishment di Forza Italia, almeno quello che si riconosce nelle posizioni del leader. Nonostante la tregua, facilitata dall’intervento di un ambasciatore (il presidente della commissione Bilancio, Riccardo Savona), le distanze restano. Micciché, di recente, l’ha rimarcato più che in passato, sottolineando di non essere sicuro che Musumeci voglia ottenere il bis a Palazzo d’Orleans: “Sta facendo capire in tutte le maniere che non lo vuole fare più”.

In realtà Musumeci vorrebbe farlo eccome. Ma sa di aver fatto terra bruciata intorno a sé. Al netto di alcuni fedelissimi, in Forza Italia per esempio, che sarebbero disposti a svenarsi per ottenere la conferma del presidente. I vari Falcone e Armao, per Micciché, sarebbero difficili da addomesticare. Così come risulterebbe complicato ottenere il placet romano a un’operazione del genere. Non tanto da Berlusconi, spettatore poco interessato delle vicende siciliane, quanto da deputati e senatori che hanno già manifestato insofferenza per la gestione siciliana del partito, arrivando a insidiarla con la proposta di un triumvirato (con dentro Schifani e Milazzo). A impedire a Micciché di siglare il “patto del diavolo”, sarebbero gli stessi che a Roma fanno resistenza al modello Ursula. I vari Tajani, Ronzulli, Bernini: il cerchio del Cav. rimasto attratto dalle sirene leghiste, farà di tutto per consolidare l’asse storico del centrodestra. Che butta sempre più a destra. Anche nella Capitale quelli del Pd stanno provando ad arpionare Berlusconi per garantire la sopravvivenza del governo Draghi, qualora Salvini – che fin qui si è limitato a una campagna per il coprifuoco e contro il Ministro Speranza – decidesse, sul modello Papeete, di mollare. I voti di Forza Italia, in prospettiva, farebbero comodo anche per l’elezione del prossimo Capo dello Stato, e a sinistra ci sono parecchi candidati a quel ruolo (sempre che Mattarella non acconsenta a posticipare di un anno o due la pensione).

Ma torniamo in Sicilia, che in questa fase è molto distante dalla Capitale. Lega e Fratelli d’Italia non vedono di buon occhio le ammucchiate, anzi le sconsigliano apertamente. Altra cosa – sottolinea Nino Minardo, segretario regionale della Lega – è parlare di un allargamento del campo del centrodestra: “Il modello Draghi – sostiene il deputato del Carroccio – è una esperienza limitata nel tempo, ma che non può avere alcun risvolto sul piano elettorale. Come fanno a stare insieme la Lega e il Pd, Forza Italia e LeU? Al voto si va con la coalizione di centrodestra – aggiunge -. Se, invece, la domanda è ‘la coalizione può allargarsi?’, allora le rispondo: magari, speriamo che si allarghi. Se qualcuno, da sinistra, decide di condividere i principi e i programmi del centrodestra, le porte sono aperte”. Il pensiero corre subito a Italia Viva, il partito di Renzi, che nell’Isola sarebbe un architrave del modello Draghi. E forse anche del modello Ursula “allargato” (ai tempi dell’elezione della Von der Leyen, molti dei renziani erano ancora nel Pd). La nomina di Davide Faraone, che fu il primo a parlare di dialogo con Forza Italia, come coordinatore regionale è la conferma di un percorso.

Percorso che sta provando a inseguire il partito dell’ex presidente del Consiglio su Palermo: la proposta di un’Amministrazione aperta a tutti, gli è costata l’estromissione dalla giunta Orlando. Ma il progetto continua, come sottolineato da un intervento del deputato regionale Edy Tamajo a Buttanissima: “Siamo consapevoli che in un momento di pandemia, col tessuto sociale in crisi e l’imprenditoria al collasso, la politica deve dare prova di unità e lanciare un messaggio di pace, superando steccati e vecchie ideologie – ha dichiarato -. Stiamo lavorando per costruire una lista di centro assieme all’Udc e a tutte le forze moderate che ci stanno”. Per le prossime Regionali, è chiaro. Italia Viva potrebbe essere l’equilibratore di un grande campo, moderato e riformista insieme, che si imponga di superare la stagione delle divisioni e degli estremismi, proponendo un modello nuovo. Che guardi al centro, dove batte il cuore di tanti siciliani rimasti orfani di una politica che non c’è più.