Il concorso per undici consiglieri parlamentari indetto dall’Ars nel 2019 ha avuto un esito sconcertante: sui 100 temi prodotti da una platea di 250 laureati (con almeno 105 su 100), soltanto un decimo si è rivelato “sufficiente”, strappando un 18. La media dei 15 che hanno superato l’esame (il 6% del totale) arriva a 21. Ed è subito polemica sul mondo universitario: “Volevamo selezionare il meglio delle intelligenze prodotte dai nostri atenei – dice il presidente dell’Ars, Gianfranco Micciché, che presiedeva una commissione composta da quattro docenti, un consigliere parlamentare del Senato e il segretario generale dell’Ars – Ma pochi, pochissimi sono risultati in grado di produrre un lavoro scritto che fosse accettabile. Quel che mi chiedo, pur non avendo alcun titolo accademico e culturale per farlo, è molto semplice. Possibile che la formazione universitaria, anche la più qualificata, non sia in grado di garantire la capacità di scrivere in modo dignitoso e accettabile? Dove avviene il corto circuito? Ci si laurea con 110 e lode e non si è in grado di elaborare un tema che possa raggiungere il 18 nelle stesse materie? Ho chiesto a qualche mia conoscenza nel mondo accademico. Mi è stato detto – conclude Micciché a Repubblica – che gli studenti di Giurisprudenza non vengono preparati alle prove scritte durante gli anni di corso. Mi sembra surreale. Ed è una domanda che mi permetto di girare all’intera università siciliana e forse italiana. Non sarà il caso di aprire un dibattito? I nostri giovani vengono preparati al meglio, o no”.