E’ durata poco meno di mezz’ora, ieri mattina, la seduta dell’Ars che inaugura una nuova, lenta e (forse) infinita sessione finanziaria. I deputati non si erano ancora rivisti a Sala d’Ercole dopo Capodanno, se non per onorare la memoria di Piersanti Mattarella, in seduta solenne, nel giorno dell’Epifania. Adesso, però, si fa sul serio. In quei venti minuti e spiccioli, infatti, è stato incardinato il disegno di legge sull’esercizio provvisorio della Regione. I termini per gli emendamenti scadono oggi alle 16, mentre la discussione si terrà a partire da martedì prossimo. Il presidente della commissione Bilancio, Riccardo Savona, ha ripetuto ciò che i deputati sapevano già: ossia che l’esercizio provvisorio, questa volta, durerà fino al 31 marzo. E che in questo modo i siciliani potranno ottenere da subito alcune risposte tangibili: nella mini-Finanziaria, criticata dal Movimento 5 Stelle, ci sono infatti 4,5 milioni per pagare gli stipendi a Pip, Lsu e personale della Resais. Ossia i precari che da anni vivono accuditi da mamma Regione, ma pur sempre nel limbo dell’incertezza. Mentre è stato creato un fondo di compensazione da 16 milioni che servirà a garantire gli arretrati di enti, associazioni e teatri. E sempre ai teatri – tra cui il “Bellini” di Catania, ormai con l’acqua alla gola, e il “Massimo” di Palermo – verranno garantiti i fondi fino a fine anno.

In realtà bisognerebbe utilizzare il condizionale. Perché il passaggio in commissione, dove sono state presentati centinaia di emendamenti, è solo propedeutico all’approvazione dell’aula. E già da martedì potrebbero ripresentarsi i primi mugugni. Il Movimento 5 Stelle si è attribuito il merito di aver pensato a salvaguardare il fondo per salvare gli stipendi del 2019, ma si è detto assolutamente in disaccordo sul metodo utilizzato dal governo: “Doveva essere un testo snello, e invece ci siamo ritrovati centinaia di emendamenti. Per questo lo abbiamo bocciato senza se e senza ma”. I grillini l’hanno già etichettato come una “farsa”. Per approvare il documento finanziario che – lo si ricorda a scanso di equivoci – dovrà garantire la spesa in dodicesimi per le prime tre mensilità del 2020, serviranno alcuni giorni. Anche se dal Pd temono l’effetto domino degli emendamenti: “Di questo passo la pubblicazione in Gazzetta arriverà per fine mese” ha dichiarato Baldo Gucciardi, “è inaccettabile che dall’anno scorso siamo in sessione permanente di Bilancio”.

All’Ars in effetti non c’è spazio per altro. E le riforme restano al palo. L’esercizio provvisorio, vale la pena ricordarlo, permetterà alla Regione di poter scrivere con calma la nuova legge di Bilancio, per cui l’assessore Gaetano Armao si è detto già al lavoro, ma consentirà al contempo alla Regione di uscire dalla cosiddetta “gestione provvisoria”, cioè una fase di transizione in cui l’ente può predisporre pagamenti solo “per l’assolvimento delle obbligazioni già assunte, delle obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi e di obblighi speciali tassativamente regolati dalla legge, per le spese di personale, di residui passivi, di rate di mutuo, di canoni, imposte e tasse, ed, in particolare, per le sole operazioni necessarie ad evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi all’ente”. In America lo chiamano government shutdown: si manifesta quando il congresso non approva il bilancio di previsione, comportando la paralisi amministrativa.

Più o meno siamo lì, alla paralisi. Ma non serve scomodare l’amministrazione Trump. La Sicilia, negli ultimi anni, è sempre stata farraginosa a livello contabile. Anche l’anno scorso fu autorizzato l’esercizio provvisorio per due mesi, prima di arrivare all’approvazione del Bilancio e della Legge di Stabilità (il 10 febbraio). Stavolta si prevede una tempistica più lunga. La fase dell’esercizio provvisorio, inoltre, coincide con la scadenza fissata dal Consiglio dei Ministri per gli adempimenti della Regione siciliana in tema di riforme. E’ il contenuto di un decreto legislativo, pubblicato a fine dicembre in Gazzetta Ufficiale, e noto col nome di “Salva Sicilia”, che contempla un pacchetto di riforme – dalla riduzione della spesa corrente ai tagli su partecipate, affitti e burocrazia (sic!), ma qualcuno pensava di rimettere in discussione pure l’impianto della legge che dà una sforbiciata ai vitalizi – imposte da Rome e a cui il governo dovrà sottostare. Pena: una dilazione del disavanzo (da due miliardi e rotti) in tre anni anziché in dieci. Sarebbe una catastrofe.

La prossima Finanziaria, infatti, dovrà accantonare una parte di risorse per l’operazione-ripiano. Sono meno di quelle temute all’indomani della tremenda parifica della Corte dei Conti. Ma peseranno comunque su alcuni capitoli. Il governo Conte ha invitato la Sicilia al taglio degli sprechi, e l’assessore Armao, che un paio di giorni fa è volato nella Capitale per la conferenza Stato-Regioni, tornerà a tessere la sua tela al Ministero dell’Economia e della Finanze, dove si riaprirà il negoziato con lo Stato. Armao, che è un assiduo frequentatore dei palazzi romani, ci riprova laddove ha già fallito: nei mesi scorsi, infatti, ma non è mai riuscito a strappare accordi favorevoli per la Sicilia all’ex Ministro Tria, con cui vantava rapporti di estrema cordialità. Stavolta proverà quanto meno a toccare palla, anche se le premesse hanno mandato su tutte le furie il ministro Francesco Boccia (Affari Regionali) e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, che si erano impegnati a raggiungere l’accordo dell’antivigilia di Natale. L’assessore all’Economia, dopo aver ottenuto il benefit da Roma, ha detto al quotidiano “La Sicilia” che “non accetteremo supinamente cure da cavallo, prima rivendichiamo i nostri diritti: lo Stato ci dia tutte le risorse che deve darci”.

Ma alcune forze della maggioranza del governo Conte, in primis Italia Viva, si erano irrigidite dopo aver saputo che dietro le misure concilianti ci fosse la poco rassicurante Regione siciliana. Perché è “come un dito in un occhio” per tutti gli amministratori che hanno lavorato bene, disse Luigi Marattin (un concetto ribadito in altri toni anche da Davide Faraone). E persino il ministro Provenzano, del Pd, ha più volte fatto a cazzotti – iperbolicamente – con il modus operandi del governo Musumeci, reo di non pensare a un’ipotesi di vero risanamento della Sicilia, al di là della questione disavanzo. Tanto basta per ribadire che a Roma ci attendono al varco e che l’atteggiamento tenuto in patria da Armao – spregiudicato a oltranza – non potrà essere lo stesso in via XX Settembre, quando a dare le carte sarà il governo nazionale. I riscontri del negoziato saranno ben visibili nella prossima Legge di Bilancio siciliana che, rispetto agli anni scorsi, non potrà contare su uno scheletro snello. Musumeci, infatti, ha annunciato che non ci saranno “collegati”.

Per non presentarsi del tutto impreparata al duello finale, la Regione in queste settimane ha fatto timidi passi avanti: con una delibera di giunta, ad esempio, ha stabilito una sforbiciata del 5% alle spese di gestione di tutte le partecipate regionali, per le quali resta in vigore il divieto di nuove assunzioni; mentre i carrozzoni in liquidazione – tra cui la celebre Sicilia Patrimonio Immobiliare, che ci costa ancora centomila euro l’anno – dovranno sparire entro e non oltre il prossimo 30 giugno. E, con lo scopo di aumentare la liquidità a propria disposizione, palazzo d’Orleans ha predisposto la cessione della propria quota di partecipazione al fondo Fiprs (il fondo immobiliare della Regione siciliana), ossia il 35%, al Fondo Pensioni dei regionali, che farà il suo ingresso nella partita con un primo assegno da 22 milioni di euro. Sarà una commissione trilaterale, di fresca nomina, a stabilire il valore complessivo delle quote, ma solo dopo un rapido censimento degli immobili di proprietà. Mosse e contromosse che dovrebbero portare a nuove entrate e scrollarsi di dosso il peso di una gestione articolata e spericolata.

Certo, all’esamino del Mef, Musumeci e Armao arriveranno senza aver risposto una volta per tutte agli interrogativi mossi dalla Corte dei Conti durante il giudizio di parifica del 13 dicembre: ad esempio, sul perché la Regione non abbia “saputo nemmeno raggiungere gli obiettivi minimi che si era prefissata”, o sui motivi per cui “il risultato d’amministrazione”, già di dubbia attendibilità, presenti “ancora notevoli profili di opacità”. O quali siano le presunte “finalità elusive” messe in atto durante la redazione dei documenti contabili. C’è pochissima chiarezza persino sulle negligenze del governo regionale durante la lunga trattativa estiva, in cui i magistrati contabili chiesero per ben due volte la modifica dell’istruttoria: “A più riprese questa sezione ha tentato di ottenere riscontro da parte amministrazione sulla quantificazione dei fondi regionali, non ottenendo alcuna risposta”. Una lunga serie di interrogativi misti a figuracce che a distanza di un mese non sono ancora venuti al pettine.