“Bonjour Casimiro” è la storia di Giulio, un giovane del nostro tempo, appassionato di alchimia, che fa ingresso a Villa Piccolo, sulle colline di Capo d’Orlando, per assistere a un convegno. E viene catapultato in un mondo magico, di sospensione fra fisico e metafisico, dove la cultura e i modelli educativi erano diversi: migliori per un certo verso, sicuramente più pregnanti. E dove imperavano i Piccolo, i baroni di Calanovella, che nel 1932 avevano deciso di trasferirsi in campagna dalla caotica Palermo. E’ una delle famiglie aristocratiche che ha scritto la storia di questa terra. Capace di garantirsi l’ombelico del mondo – nei rapporti, nelle manifestazioni dell’arte – pur vivendo al confine: “La Palermo di quegli anni – spiega Alberto Samonà, che ha scritto il romanzo edito da Rubbettino – era un ambiente in cui la nobiltà ripeteva rituali stantii, ormai evidentemente vecchi, che da lì a poco sarebbero stati spazzati via dalle famiglie borghesi. In questo contesto, i Piccolo scelgono di dare un taglio radicale a quell’esperienza andando a vivere in campagna”.

Samonà è anche un giornalista, oltre che assessore regionale pro-tempore ai Beni culturali e all’identità siciliana. La sua vita è segnata da un lungo impegno nella Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella, e per questo – per dirla con Buttafuoco – “conosce come le proprie tasche la Villa, il giardino, il paesaggio e tutte le struggenti malie derivate dalla dimora dei tre fratelli”. Che per inciso sono i cugini del grande Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore del Gattopardo. “Lucio, Casimiro e Agata Giovanna – racconta Samonà – assieme alla madre, la baronessa Teresa Mastrogiovanni Tasca, decisero di lasciare Palermo e andare a costruire il proprio destino lontani dal chiasso e della modernità. Fu uno stacco totale dalla Sicilia cui erano stati abituati. Basti pensare che il palazzo dei Piccolo era all’angolo fra piazza Croci e via Libertà, nel cuore di Palermo. Capo d’Orlando, invece, era poco più che un borgo di pescatori”.

Eppure “quella scelta non li isolò dal mondo. Lucio e Casimiro, infatti, intrattenevano rapporti epistolari col fior fior degli intellettuali. Pensiamo alla corrispondenza di Lucio Piccolo con Yates, prima che diventasse lo scrittore celebrato ovunque. Non fu un ritiro, ma un nuovo punto d’osservazione rispetto ai fenomeni dell’epoca, che gli fa attraversare gli eventi del ‘900 – con la Seconda Guerra Mondiale, le invasioni sovietiche, la ricostruzione italiana – senza inquietudini o entusiasmi. Ma non perché fossero indifferenti: hanno semplicemente scelto un percorso “altro”, una dimensione verticale rispetto allo svolgersi della storia ordinaria”.

“Da qui – prosegue Samonà – le liriche di Lucio Piccolo che affondano le radici nel mondo classico, che consegnano all’umanità versi sublimi; o gli acquerelli di Casimiro che dialogano con l’energia dei boschi e delle campagne, degli alberi, degli elfi e dei folletti. Quelli che vennero definiti gli spiriti “elementali”. Un’altra dimensione, un’altra vita”. Una vita in cui viene catapultato anche Giulio, protagonista del libro. L’opera, di per sé, costituisce un perfetto mix letterario: “La forma narrativa è quella di un romanzo – dice l’autore – ma all’interno sono presenti elementi descrittivi e d’ambiente lo fanno somigliare anche a un saggio: c’è pure una bibliografia finale che nei libri di narrativa solitamente non si usa. La scrittura, talvolta in prima talvolta in terza persona, è anche un modo per trasgredire le regole”.

“Bonjour Casimiro” il prossimo 19 dicembre verrà presentato a Vibo Valentia, capitale italiana del libro 2021, nell’ambito del ViBook: “Poi nel 2022 sono in programma presentazioni a Roma, Firenze e altre città italiane. Fra i complimenti che mi hanno fatto più piacere – continua Samonà – c’è quello di Pietrangelo, che è solito dire ciò che pensa. Non regala complimenti”. Anche Buttafuoco, che di recente ha pubblicato “Sono cose che passano”, ha esaltato la Sicilia degli anni ’50, divenuta culla della cultura. Dove, in senso artistico, non esiste periferia. Samonà concorda: “Non c’era la società tecnologia e nemmeno le visioni politico tecnocratiche che conosciamo oggi. Questo portava le persone più sensibili verso un interesse maggiormente accentuato rispetto alla cultura, alla letteratura, alla filosofia. Peccato che oggi questo ricordo appaia assai sbiadito”.