A colpo freddo mi ha colpito il silenzio di quelle duemila e passa persone. Non un cellulare che squillava. Non un solo segno di insofferenza. Non un movimento in quel reticolo fitto di braccia e gambe incrociate sui cuscini in piazza della Memoria. Ieri sera per il finale di Piano City Palermo abbiamo portato in scena per la prima volta “Butterfly Blues”, scritto da me, interpretato da Gigi Borruso, con le musiche di Marco Betta, Diego Spitaleri e Fabio Lannino. È una storia di quelle che non si possono riassumere, perché racconta la lunga ferita di una generazione tra rivoluzioni mancate, progressi tecnologici, tradimenti istituzionali e immancabili amori svaniti.

Non so dirvi se funziona o no, so per certo che ho incontrato il pubblico migliore del mondo perché sino a ieri sera pensavo che fosse impossibile mettere insieme tutta quella gente, comprimerla per ragioni di spazio e non riscuotere almeno un umanissimo segnale di insofferenza. Invece il miracolo è avvenuto e per 65 minuti in quell’angolo di Palermo duemila e passa persone si sono lasciate condurre lungo un percorso tortuoso, guidati da una farfalla che cercava solo di guadagnare il cielo che si meritava. E’ anche questo il bello di una manifestazione come Piano City, che regala musica e bellezza senza attingere a fondi pubblici. È questo il bello di una città come Palermo dove resistere è anche saper sognare.