Anno magico questo 2018 per il grande vigatese Camilleri Andrea da Porto Empedocle, anno che celebra in vita la produzione del papà di Montalbano, tradotto in più di tredici lingue nel mondo e verrebbe da dire sponsor ufficiale della Società Italiana Autori ed Editori per la quantità di diritti che macina ad ogni nuova creazione. Siracusa gli ha dedicato una serata memorabile permettendoci di ammirarlo in un irripetibile Tiresia, di cui questo giornale ha già riferito. MicroMega gli ha appena dedicato un numero monografico con interventi illustri, e sono in cantiere due opere per il teatro che debutteranno in autunno.

Insomma nell’anno Camilleris, anno in cui l’Italia possiede la fortuna, senza averne totale consapevolezza come tutte le cose italiane, di avere in vita e lucido uno dei fenomeni letterari più noti e prolifici di tutti i tempi, nell’anno dei suoi novantatré anni – il 6 settembre di questo nobile anno – abbiamo posto alcune domande, per iscritto e a distanza, ad un suo allievo d’eccellenza, il regista Dipasquale Giuseppe. Suo coautore in teatro e suo allievo fin dai tempi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, dove Camilleri Andrea ha insegnato Regia licenziando decine e decine di artisti che si sono affermati nel variopinto mondo dello spettacolo.

Dipasquale, quale è stato secondo lei il meccanismo che ha portato al successo planetario uno scrittore così atipico come Camilleri?
“Il senso delle storie. La capacità di saperle raccontare o meglio, come dice lui stesso, saperle ‘contare’ come un Contastorie. Camilleri è nell’accezione preomerica un Aedo moderno, un grande pozzo fantastico di storie che con l’abilità affabulatoria non comune a tutti gli scrittori incanta, meraviglia e seduce il bisogno di storie dei lettori. Camilleri ha interpretato questo bisogno senza sforzo perché lo possiede in sé. Per lui tutto è storia, non nel senso polveroso e noioso degli storici ancorati per necessità ai Documenta Historiae, ma nel meccanismo tutto umano di fatti concreti ricollocati con grande abilità nella memoria e nella fantasia. La sua è una narrazione con lo strumento espressivo di una lingua mescidata e inventata – al pari di una tradizione illustre che va da Folengo a Gadda – che recupera il piacevole senso del lettore di riconoscersi umano e di questa terra, nel presente e nell’identità con i fatti narrati. Di questo modo d’essere posso testimoniare una delle tante esperienze compiute con Andrea: da allievi di Regia in Accademia eravamo affascinati, sedotti e rapiti dalle sue lezioni. Camilleri amava insegnarci la Regia teatrale non attraverso teoremi e formule teoriche, ma attraverso le storie. Stavamo giornate intere, quasi senza tempo, a sentirlo raccontare dei suoi sogni e delle sue esperienze professionali e umane come delle grandi storie umani ed esemplari. Il regista, diceva, deve sapere raccontare storie scritte da altri, ma a suo modo, facendole sembrare sempre nuove”.

Lei ha messo in scena diverse opere scritte a quattro mani su suoi romanzi o su testi preesistenti, Il birraio di Preston, La concessione del telefono, La cattura, Il casellante, Troppu trafficu ppi nenti, La signora Leuca, per citarne alcuni. Eppure Camilleri ha detto più volte – con modestia eccessiva – che non si sente un autore teatrale. A differenza di quello che si crede, teatro e letteratura sono così distanti?
“Andrea ha una conoscenza del teatro unica per non sapere con saggia consapevolezza il peso di questa affermazione. E’ stato per decenni regista teatrale, allievo di un grande maestro come Orazio Costa. La sua modestia, come dice lei, è solo frutto di sano realismo. Vede, il teatro tratta il materiale verbale, scritto in proprio o da altri autori, alla stregua della letteratura. La navicella della fantasia permette voli pindarici all’interno di percorsi umani inaspettati. Puoi essere Edipo o Riccardo III senza necessariamente avere vissuto le stesse esperienze, eppure allo stesso tempo poterle raccontare come fossero le tue storie. Lo stesso accade in letteratura, con la sola differenza che il lettore, in teatro, non è come il lettore dei libri. E’ – come diceva Antonio Gramsci – un lettore immediato seduto in platea di fronte a te che non può permettersi, come farebbe con le pagine di un testo scritto su un foglio di carta, di tornare indietro nella storia. Non può dire agli attori “fermati, torna indietro che voglio risentire questo passaggio e goderne ora, ancora!”. Il lettore teatrale vive la storia qui e ora, quello dei romanzi vive lì e allora. E’ una differenza fondamentale, e Andrea predilige senza dubbio quest’ultima”.

Nell’anno di Camilleri lei metterà in scena due nuovi lavori teatrali. Sembrano due titoli originali non tratte da romanzi già dati alle stampe: Don Lollò e Filippo Mancuso e La creatura del desiderio. Ce ne parla?
“Il primo è un testo originale che stiamo scrivendo per due attori di eccezione – Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina – che per l’occasione tornano a recitare insieme. Tutto nasce da una promessa che io e Andrea facemmo loro dopo il successo de La concessione del telefono dove entrambi erano protagonisti e che deliziavano il pubblico di tutti i teatri italiani con una scena esilarante degna di Totò e Peppino. Proprio dallo spunto di quella scena stiamo scrivendo un testo con una storia nuova che li vede nuovamente entrambi protagonisti per la stagione del Teatro Brancati di Catania. “La creatura del desiderio” è tratto da una storia vera, di cui Camilleri si è già occupato in un saggio-storia sulla vicenda di amore folle e paradossale tra il pittore austriaco Oskar Kokoschka e Alma Mahler. La metterò in scena a novembre al Must Musco Teatro di Catania con protagonisti David Coco e Valeria Contadino. E’ una vicenda esemplare sul senso dell’oscuro oggetto del desiderio. Kokoschka, che ebbe una travolgente storia con la sensualissima e affascinante Alma, donna e artista all’avanguardia in quegli anni, non sopportandone l’abbandono si fa costruire ad immagine e somiglianza una bambola come Alma e di questa fa appunto la creatura del suo desiderio non negandosi nessuno dei momenti di vita che si passano con un’amante.

Lei è tra quelli che pensano si debba dare il Nobel per la letteratura a Camilleri.
“Andrea è stato candidato al Nobel qualche anno addietro, insieme a Dacia Maraini e Saviano. Finora il riconoscimento non è arrivato. Lo meriterebbe eccome, ma – come ha appena detto Simonetta Agnello Hornby – è forse il premio a non meritare Camilleri. Il suo Nobel ce l’ha già. Glielo ha consegnato il pubblico di milioni di lettori in tutto il mondo che, a dispetto dei piccoli detrattori o di quelli che non digeriscono ancora il fenomeno del suo successo planetario, continua a leggerlo con gusto e con passione, divenendo per l’occasione inconsapevole notaio del motto di Tommaso d’Aquino: Timeo hominem unius libri”.