Ultimato il rodaggio con l’approvazione della Legge Finanziaria – anche grazie alle opposizioni che hanno fatto da stampella – la coalizione di centrodestra si avvicina al primo, vero banco di prova. Le Amministrative. Un appuntamento che per Musumeci è sempre risultato un enigma, e dal quale l’ex governatore, tranne in rare occasioni, si è tenuto a debita distanza (con l’alibi che a un presidente della Regione non spettava l’ingrato compito della campagna elettorale). Al contrario, Renato Schifani si appresta a giocare un ruolo da protagonista. In effetti, al centrodestra, serve un collante. Uno in grado di tenere insieme l’universo variegato – che va da Fratelli d’Italia ai centristi – che aveva faticato a ritrovarsi alla vigilia degli ultimi appuntamenti: sia per le Amministrative di Palermo che alle Regionali, infatti, l’accordo sul candidato “di sintesi” si era concretizzato in volata. Cosa che rischia di accadere anche a Catania, dove i patrioti contendono la scelta alla Lega di Salvini.

Per altro l’esperienza di Salvo Pogliese, che si è conclusa prematuramente a causa delle sue vicissitudini giudiziarie, aveva lasciato un groviglio di tensioni. Aveva portato, addirittura, alla fuoriuscita dei rappresentanti del Carroccio dalla giunta. Alla Regione i rapporti si sono ricomposti. Ma è stato solo l’antipasto della portata più ghiotta. FdI ha inteso la rinuncia a Musumeci come un diritto di prelazione su molte cose: la possibilità, ad esempio, di pescare il nome del candidato governatore – Schifani in questo caso – da una rosa altrui (quella di Forza Italia); o di poter decidere in autonomia il numero e il nome degli assessori, senza tener conto delle indicazioni di Schifani (a partire dalla presenza nell’esecutivo di soli assessori-deputati). Il partito della Meloni ha già derogato parecchie volte rispetto alle regole del gioco, ma data la forza dei sondaggi, e le recenti affermazioni in Lazio e Lombardia, non ha alcuna intenzione di sfilarsi.

E’ troppo forte e attuale l’asse fra Manlio Messina e Gaetano Galvagno per non provare a dare le carte. Il primo, ex assessore al Turismo, è l’anello di congiunzione fra il partito siciliano e il ministro Francesco Lollobrigida, noto come “cognato d’Italia”: ha ottenuto la nomina di Pagana e Scarpinato alla Regione, è uscito indenne dallo scontro verbale con Schifani su Cannes e vede crescere di ora in ora la propria influenza. Galvagno, presidente dell’Ars, gode di un padrino politico d’alto rango: Ignazio La Russa. Lo stesso che prima di diventare seconda carica dello Stato ha condotto le trattative per Palazzo d’Orleans in nome e per conto della Meloni e che, una spallata per volta, è riuscito a ottenere l’emarginazione di Gianfranco Miccichè. I due, Messina e Galvagno, potrebbero pronunciarsi a favore di Ruggero Razza, che vive con impazienza il momento del ritorno.

L’ex assessore regionale alla Salute, che per altro resta coinvolto nel processo sui dati falsi Covid (dov’è imputato), non se n’è mai andato veramente. Ha tirato la volata a Schifani conscio del fatto che sarebbe arrivata una ricompensa. E la ricompensa è arrivata con la nomina della moglie, Elena Pagana, al Territorio e Ambiente. Gli ultimi rumors raccontano di un ottimo feeling con Messina, ma anche e soprattutto con Raffaele Lombardo, un altro possibile protagonista delle vicende catanesi. L’ex governatore, che attende la fine del suo processo (manca solo la Cassazione), ha preferito non correre in prima persona nonostante le sollecitazioni esterne. Ma stando alle ultime indiscrezioni, sarebbe pronto il ticket con FdI alle prossime Europee, dopo che i rapporti con Matteo Salvini (e la federazione con la Lega) si erano incrinati alla vigilia del voto sulle Politiche. Concedere una chance a Razza, anziché esprimere un candidato di bandiera (ipotesi nelle corde del Mpa) è nell’ordine delle cose, anche se i rivali più accreditati del delfino di Musumeci risiedono dentro Fratelli d’Italia.

Come riassume Roberta Fuschi su Live Sicilia, l’ex sindaco e attuale senatore, Salvo Pogliese, è stato messo all’angolo da Messina e Galvagno. Per lui, addirittura, sarebbe pronta la mozione di sfiducia da coordinatore del partito per la Sicilia orientale. Perdono quota, pertanto, le proposte di Sergio Parisi e Pippo Arcidiacono, ch’erano stati suoi assessori. E tramonta persino l’ipotesi di Pogliese-bis, praticabile solo nel caso in cui fossero arrivate buone notizie dal processo per peculato in cui è coinvolto (condanna a 4 anni e 3 mesi in primo grado). Il nome di Razza, però, è divisivo anche per la coalizione. Gianfranco Miccichè ha pubblicamente dichiarato che fra lui e la Sudano sceglierebbe Valeria “tutta la vita”. Ma anche Sammartino, compagno della deputata del Carroccio, catanese e vicepresidente della Regione, è poco incline ad assecondare la candidatura dell’ex assessore alla Sanità. Con lui e Musumeci ha litigato ferocemente nel corso della scorsa legislatura, quando vestiva i panni di deputato renziano. Certe cose non si dimenticano. Questo è uno snodo cruciale, dato che Sammartino, un passo alla volta, sta cannibalizzando la Lega dall’interno. Acquisendo posizioni e prestigio. Sarà difficile tenerlo fuori dalla partita. Semplicemente non si può.

Mentre Forza Italia gioca più un ruolo da comprimario, nonostante le presenze illustri di Marco Falcone, attuale assessore all’Economia, e Nicola D’Agostino, passato anche lui sotto le insegne di Schifani. Il problema endemico dei berluscones è capire chi comanda: nel corso di un’apparizione recente in tv, Micciché ha spiegato di sentirsi legittimato a fare le liste (anche a Catania) finché non verrà rimosso dal ruolo di commissario regionale. Ma di fatto è rimasto solo e all’Ars ha dovuto iscriversi al Gruppo Misto. A meno di dure prove di resilienza, non dovrebbe essere un ostacolo. E poi Forza Italia ha già il presidente della Regione. Lo stesso presidente che giocherà questa partita con lo spirito del padre nobile, evitando di mandare in fumo i gracili equilibri costruiti in questi mesi.