Miccichè ha già perso
A che serve accanirsi?

Che cosa cambia? Ora che Gianfranco Miccichè è rimasto intrappolato – ma non indagato – in un storiaccia di cocaina, sono tutti lì a chiedersi se l’inchiesta giudiziaria è destinata a modificare gli equilibri della politica regionale. Se lo chiedono i suoi colleghi dell’Ars, alcuni dei quali indignati nell’apprendere dettagli che, per la verità, si conoscevano da oltre vent’anni. E se lo chiedono i suoi compagni di partito, di quella Forza Italia che già all’inizio di quest’anno lo aveva isolato e ridotto al silenzio. Diciamolo: con l’avvento di Renato Schifani a Palazzo d’Orleans, Miccichè è rimasto fuori dai giochi: troppi errori nella gestione della crisi. Oggi ai suoi disastri in politica si aggiunge un amaro capitolo della sua vita privata. Che non cambia le cose. Gianfranco, per dirla con Giobbe,..

Chi vede e non vede
lo scandalo del Cas

Ismaele La Verdera, del gruppo che fa capo a Cateno De Luca, ha presentato un’interrogazione al governo della Regione per avere spiegazioni sull’ultimo scandalo denunciato da questo giornaluzzo: un regalo di 53 mila euro del Consorzio per le autostrade di Sicilia, il famigerato Cas, a un clan di pagnottisti che rastrellano soldi dagli assessorati, dalle partecipate e da tutti i peones della politica che hanno la fregola di apparire sui social o di ottenere un’intervista in uno spelacchiato bar della vanità. La Vardera ha letto la notizia e si è indignato: 53 mila euro per garantirsi la presenza di tre mesi su Facebook sono un’offesa a tutti i poveri di quest’isola. L’unico che che ha preferito non indignarsi è stato l’assessore alle Infrastrutture, Alessandro Aricò. Non vede la trave di..

Oltre Crocetta
e oltre Tarabas

Ma a Palazzo d’Orleans c’è un presidente della Regione o un avventore? C’è un governatore, con tutta la responsabilità che questa carica comporta, o un certo Tarabas, l’eroe “imperioso e vanitoso” che Joseph Roth amava definire “un ospite su questa terra”? A sette mesi dall’insediamento, Renato Schifani si ritrova con Fratelli d’Italia, partito di maggioranza relativa, che lo contesta pesantemente e gli lancia ultimatum: o bere o affogare; con Gaetano Galvagno, presidente dell’Ars, che denuncia un allarmante vuoto di proposta politica; con Cateno De Luca, suo dirimpettaio alle elezioni di settembre, che da Taormina gioca con lui come il gatto col topo. Nemmeno Rosario Crocetta, che pure veniva chiamato il “pappagone della politica”, era arrivato, in così poco tempo, a toccare il fondo. Torniamo alla domanda: a Palazzo d’Orleans c’è..

Gran festa a Taormina
alla faccia di Cateno

Bivaccano a Taormina, tutto pagato. C’è il presidente della Regione, Renato Schifani. Non è stato applaudito al Teatro Antico come il divo del cinema Harrison Ford ma lui, stavolta, non se l’è segnata a dito. C’è l’assessore al Turismo, Elvira Amata, custode smarrita della complicata eredità lasciata dal suo predecessore, Manlio Messina. C’è Esterina Bonafede patrona, con Beatrice Venezia, di tutto l’impero costruito dai patrioti attorno a TaoArte. E c’è pure, al San Domenico per Taobuk, Gaetano Armao, trombato alle elezioni ma recuperato con 60 mila euro l’anno da Schifani che, per un rancore indomabile nei confronti di Marco Falcone, vuole ridargli ufficialmente l’incarico di assessore al Bilancio. Mentre a Palermo si misurano i danni di SeeSicily, loro fanno festa. Alla faccia di Cateno De Luca, il sindaco che vuole..

L’ultimo capolavoro
di Schifani allo sbando

In tre giorni Renato Schifani è riuscito a commettere tre errori che pregiudicheranno in maniera pesante la futura azione di governo. Primo. Ha sconfessato l’accordo dell’assessore Francesco Scarpinato con Cateno De Luca, costringendo Fratelli d’Italia, principale azionista della sua maggioranza, a sostenere le tesi del sindaco di Taormina, il suo più accanito avversario. Secondo. Stordito dalle batoste di Scateno, ha indirizzato i suoi rancori contro Gaetano Galvagno, che aveva tentato una mediazione, dimenticando che il presidente dell’Ars è nel cuore di Ignazio La Russa, il potente senatore che l’anno scorso lo ha portato a Palazzo d’Orleans. Terzo. Ritrovatosi con le spalle nude si è rifugiato sotto le ali della Lega senza considerare che Matteo Salvini oggi è la spina nel fianco di Giorgia Meloni, di Daniela Santanché e dello stesso..

La guerra dei titani
ha già un vincitore

Crede che dopo Dio – e dopo Silvio Berlusconi – ci sia solo lui. Crede che il sole e le altre stelle gli girino attorno con testarda sudditanza. E crede pure di essere il solo uomo politico capace di fregare tutti gli altri. Studia giorno e notte come acquisire fette di potere e come distribuire pane e pesci a chi gli si inchina davanti per baciargli la pantofola. Non è egoista. E solo affetto da inguaribile egolatria: si adora e crede che i siciliani non abbiano altro dovere se non quello di incensarlo. Ma la settimana scorsa, mentre incedeva sul tappeto rosso dell’universo, Renato Schifani, presidente della Regione per grazia ricevuta, si è scontrato con Cateno De Luca, un altro personaggio che ha un’altissima e inarrivabile considerazione di sé. Ed..

Il Grande Affanno
di governo e Ars

Forza Italia, tra il grande lutto per Silvio Berlusconi e gli inevitabili assestamenti, ha avuto il coraggio di prenderne atto: il governo presieduto da Renato Schifani, si è impantanato; galleggia tra il niente e il nulla e comincia a paralizzare anche l’Assemblea regionale. L'ultima schermaglia a Sala d’Ercole sta a dimostrarlo. La maggioranza, irretita dai propri rancori e dalle proprie paure, non ha identità e al primo inciampo va numericamente sotto. L’opposizione insegue un parlamentarismo privo di sostanza ed è talmente stordita dagli inciuci che non riesce nemmeno ad affrontare la questione morale maturata tra le mura di Palazzo d’Orleans. Resta solo una speranza: che dopo Forza Italia rinsavisca anche Fratelli d’Italia; che Giorgia Meloni e Ignazio La Russa riconoscano di avere puntato, nella corsa alla Regione, su un cavallo..

Ma c’è molto disordine
nella Asp che si indigna

Daniela Faraoni, commissario dell’Azienda sanitaria di Palermo, ha avuto un vigoroso slancio di legalità e ha immediatamente annunciato che la Asp si costituirà parte civile contro Agostino Genova, il medico che si arricchiva elargendo invalidità fasulle. “Siamo indignati e disgustati”, ha commentato. Evviva. Ma c’è un ma. Sarebbe anche opportuno che la dottoressa Faraoni considerasse il caos che regna nel suo feudo. Da quasi un anno l’Asp ha nella pancia i soldi per pagare le prestazioni extra budget eseguite dalle strutture private nel 2021. Ma non c’è verso. C’è stato il severo richiamo dei vertici dell’assessorato; c’è stato il richiamo dei sindacati; ci sono stati persino i decreti ingiuntivi, ma la dottoressa Faraoni, come il Marchese Del Grillo, se ne sbatte. Nel disordine machiavellico del suo regno ci sono sempre..

Ma non c’è un duello
fra Tajani e Schifani

Macché duello tra Antonio Tajani e Renato Schifani. Tra i due non c’è confronto e, forse, nemmeno la possibilità di un dialogo. Il coordinatore nazionale di Forza Italia, forte dell’investitura fatta da Marina Berlusconi subito dopo i funerali del padre, ha deciso di tirare dritto e di tutelare con ogni mezzo l’unità del partito. Una linea irreversibile che ha ha avuto non solo il sigillo di Arcore ma anche quello, politicamente più significativo, di Giorgia Meloni. No, Schifani non avrà il minimo spazio per le sue manovre da basso impero. Anche i vertici di Forza Italia si sono resi conto che il governo siciliano è da otto mesi sospeso tra il niente e il nulla. Assecondare le ambizioni del suo presidente sarebbe come appuntare una medaglia sul petto di un..

C’è un altro mondo
a Palazzo delle Aquile

Anche lui ha ricevuto un’eredità pesante, un groviglio di inefficienza e guapperia, di populismo e inganno. Eppure Roberto Lagalla, da un anno sindaco di Palermo, non si è armato di fucile per la decimazione dei nemici, non ha reclutato gli arruffoni, non ha elargito consulenze da sessantamila euro l’anno ai suoi amici più cari, non ha fatto atto di sudditanza a Fratelli d’Italia, il partito dei vincitori, e non ha gridato, come un Brenno al fico d’India, “guai ai vinti”. Anzi quando si è posta la questione delle nomine, si è assunto la responsabilità di confermare al Teatro Massimo il sovrintendente Marco Betta, che era stato insediato lì da Leoluca Orlando. “Non condivido la logica dell’angelo sterminatore”, ha commentato nel corso di una intervista a Daniele Ditta, di Palermo Today...

Gerenza

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