Le interminabili sessioni di Bilancio e il numero degli emendamenti alla manovra, molti dei quali di stampo “assessoriale”, non preoccupano Vincenzo Figuccia, deputato regionale dell’Udc. Che nelle discussioni incardinate in commissione e, dai prossimi giorni, in Sala d’Ercole, vede più un’occasione di riscatto della Sicilia che non l’incancrenimento degli equilibri della maggioranza. Seppur adottando dei distinguo: “Tutto ciò che fa riferimento a una cornice complessiva che chiama in causa le riforme – spiega l’ex assessore all’Energia – è assolutamente utile: parlo della nuova cittadella della Regione, della vendita degli immobili dell’Asp, delle norme sugli appalti. Laddove, invece, subentra il livello dei micro-interessi personali, in cui vengono distribuite mance per accontentare singoli deputati, ci troviamo di fronte a un fatto negativo”.

Mille fra emendamenti e sub-emendamenti alla manovra, addirittura quattro “collegati”. Di questo passo quando verrà approvata questa Finanziaria?

“Credo che alla gente interessi la sostanza: che si chiami Finanziaria o “collegato” poco importa. Se alla fine, attraverso una pioggia di emendamenti o un “collegato”, si realizzeranno tutti gli accorgimenti del governo, facendosi portatori delle istanze del territorio, viva Iddio. Che male c’è?”.

C’è del buono nella manovra che si è stoppata in Commissione Bilancio?

“Vedo una Finanziaria che fa infrastrutturazione sociale, che parte da alcuni macro-temi come le province, il sistema di riscossione delle entrate, l’accordo stato-regione, che fa riferimento a dei provvedimenti che vanno incontro ai problemi scaturiti dalla condizione di insularità della Sicilia. Non è possibile che i biglietti aerei costino così tanto”.

Sul tema dell’insularità si era speso in prima persona…

“E’ una battaglia che mi sono intestato e andrebbe affrontata sui nodi critici. La nostra proposta, inserita in Finanziaria, è un referendum popolare, la cui data potrebbe coincidere con quella delle elezioni Europee. Con un quesito chiederemo ai siciliani se vogliono contribuire a superare gli svantaggi attraverso la modifica dell’articolo 38 dello Statuto”.

Ok, ma questi emendamenti rischiano di far emergere l’altro volto della medaglia. Quello delle clientele, dei personalismi. Cosa raccomanda a Musumeci?

“Di inserire nella manovra tutti gli interventi in favore di una serie di categorie – penso agli operatori della formazione professionale, agli operai forestali, agli operatori del settore dei rifiuti – che aspettano delle risposte da questo governo. Durante l’ultima legislatura era stato definito il mondo della “macelleria sociale”. Non è una espressione aulica, ma rende bene l’idea. Voglio capire se il governo può viaggiare su due binari: da un lato la prospettiva, per garantire dei livelli di crescita; dall’altro la risoluzione dei problemi emergenziali, per far fronte alla quotidianità”.

Il clima nella maggioranza è sereno?

“Non lo è. Avremmo anche una maggioranza, seppur risicata, ma basta una febbre o i capricci di qualcuno per farci andare sotto. Inoltre, la condizione economica e sociale di ciascun operatore politico che si muove sul territorio non è serena. Ad ogni passo si incontrano delle istanze, delle richieste, dei problemi da risolvere. E, animati dalla buona volontà, si cerca di raggiungere i risultati. Non tutti i risultati, però, sono immediatamente raggiungibili: questo crea una condizione di fibrillazione”.

E’ per questa instabilità che il presidente Musumeci ha lanciato un appello al Movimento 5 Stelle?

“Bisognerà capire se la posizione dei 5 Stelle rimarrà strumentale o se c’è davvero voglia di collaborare. Di fronte a questa proposta, i grillini pensano di contribuire alla causa e provare a riscattare questa terra oppure preferiranno arroccarsi dietro il pietrone, continuando a dire che tutto fa schifo? Credo che un gesto di responsabilità sia gradito dai siciliani. Ma la sensazione è che nel primo anno di governo il M5S sia stato più bravo a urlare e fare demagogia che non a concretizzare le proposte”.

Quindi anche lei auspica una collaborazione?

“Se alla fine sono venuti fuori quattro “collegati”, e la cosa genera stupore, perché non potremmo scriverne uno anche con loro? Musumeci è uno che non vuole fare ribaltoni, ma è stato coraggioso, ha fatto un ragionamento serio. Vediamo se il M5S risponderà allo stesso modo”.

Prima di Natale, a una manifestazione dell’Udc, si è visto un abbraccio tra Lei e il presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè. Dopo la lite sugli stipendi d’oro è tornato il sereno?

“Sono stato eletto in una maggioranza di governo, ma non mi sono scelto i compagni di viaggio. Quando si fanno ragionamenti politici, può succedere che ci siano visioni differenti. E non bisogna mai fare passi indietro rispetto ai propri convincimenti. Ma la politica non si basa su simpatie o antipatie. Ognuno di noi ha i suoi pregi e i suoi difetti, e alla fine bisogna convivere per risolvere i problemi”.

Il percorso dell’Udc si incrocerà con quello di Forza Italia per le prossime Europee? Potrebbe nascere una lista unitaria?

“L’Udc ha preso il 7% alle ultime Regionali, credo sia una forza importante in Sicilia. Senza di noi non ci sarebbero né Musumeci né Miccichè, forse avrebbe vinto il Movimento 5 Stelle. Siamo stati determinanti e la gente ce lo riconosce. Ai prossimi appuntamenti elettorali faremo valere i nostri numeri”.

Lei sarà candidato?

“Me lo chiedono in tanti, ma non decido da solo”.

Pur essendo un sociologo e un difensore dei diritti civili, ha contestato l’uscita di Orlando sul decreto sicurezza. Perché?

“Ritengo ci siano le sedi opportune per discutere le questioni. L’incarico che lui ricopre, quello di sindaco, non gli consentirebbe di affrontare il tema con queste modalità. E’ chiaro che ha voluto dare un colpo di schiena, e c’è anche riuscito. Non rispetto ai palermitani, che rimangono soffocati dalle emergenze…”.

Si spieghi meglio.

“Orlando sa che questo è il suo ultimo mandato, quindi non si gioca la partita su quello che pensano i palermitani. Può anche fregarsene se viene apostrofato per strada con toni sgarbati. Lui ha un’altra finalità. Parla alla politica nazionale, a quel Pd dove prova a giocare un ruolo di riposizionamento e di leadership, dove è riuscito a colmare un vuoto con delle scelte che a me fanno sorridere, ma in certi ambienti radical chic trovano ancora una ragion d’essere”.

Venerdì, a Palermo, Vincenzo Figuccia inaugura una scuola di formazione politica. E’ la prima edizione e avrà la durata di un anno (per 96 ore di lezione). Come le è venuto in mente?

“E’ un’idea che mi ronza in testa da parecchio tempo. Negli ultimi anni di queste esperienze ce ne sono state pochissime. Ma adesso, alla luce di una visione post-ideologica, e di questa impostazione urlata e poco ordinata della politica, ho avvertito la pulsione in modo sfrenato. E ho pensato che l’occasione giusta fosse il centenario del discorso di don Luigi Sturzo ai “liberi e forti”. Uno degli appelli più importanti della storia politica del nostro Paese: per combattere le ingiustizie, riorganizzarsi sui temi della solidarietà, della giustizia sociale, della reciprocità. Credo che oggi sia necessario riproporlo a tutti i siciliani. Da una fase storica così difficile non si esce soltanto con dei provvedimenti di natura economica, ma con un po’ di sana cooperazione”.

E’ un richiamo all’impegno civile della gente comune?

“Se ciascuno dei siciliani dedicasse un piccolo spazio del proprio tempo all’approfondimento e alla condivisione del bene comune, alla comunità piuttosto che all’”io” – ad esempio svolgendo un’attività all’interno delle scuole, curando la villetta comunale sotto casa o le pensiline dove si fermano gli autobus – penso che si arriverebbe a risultati di rilievo. La scuola è innanzitutto questo. Per costruire modelli sociali ci vogliono bravi amministratori, la politica non può essere frutto di improvvisazione”.

Sarà una piattaforma di stampo regionalista. Non è un caso che in prima linea c’è il suo movimento, Cambiamo la Sicilia.

“Per quattro anni è stato un movimento, ma ora si organizza in partito. Il partito d’azione Cambiamo la Sicilia. Non vuole essere una cosa statica. Vuole replicare le esperienze che si sono viste in altre parti d’Italia: il Partito d’azione sardo, l’Unione Valdotaine, il Sudtirolel Volkspartei. Anche Sturzo credeva che la politica dovesse partire dal basso, dai territori. Faremo lezioni in aula, con docenti e parlamentari, ma anche nei luoghi d’incontro come ospedali, istituti penitenziari, scuole. L’approccio sarà dinamico. E’ una scuola che durerà nel tempo”.