Schifani ha parlato di centrodestra unito, ma i ballottaggi sono la dimostrazione plastica dell’esatto contrario. Di una coalizione litigiosa, spaccata quasi ovunque, che guarda alle sfide di domenica con il rancore tipico delle lotte fratricide. Sarà così a Siracusa, Acireale e Piazza Armerina, mentre l’unico compromesso è stato siglato ad Aci Sant’Antonio, in provincia di Catania: è l’unico Comune, peraltro, dov’è ancora in ballo il centrosinistra. Qual è la morale della favola? Anziché fare perno sullo “scandalo Turano”, Schifani dovrebbe proiettare le sue attenzioni nei confronti di chi sul territorio s’è mosso in ordine sparso, dando segnali di scarso attaccamento alla maglia (e all’allenatore). Ci sono tanti piccoli Turano disseminati qua e là, ma guai a scoprire gli altarini. Ne andrebbe della tenuta del governo e forse del rimpasto (o restyling) prossimo futuro.

Ciò che è successo negli ultimi giorni ad Acireale, però, getta un fascio di luce sulle dichiarazioni d’intenti del governatore, smentite alla prova dei fatti. Se le cose fossero andate come dice Schifani (“Andremo al ballottaggio con un centrodestra compatto”, ha spiegato l’altro giorno), non staremmo discutendo di una lotta barbara (politicamente parlando) fra Roberto Barbagallo e Nino Garozzo. Il primo, che in questi giorni è finito al centro delle cronache per altre ragioni, cioè i legami pericolosi con alcuni esponenti del clan Santapaola-Ercolano, è sostenuto dall’ala schifaniana di Forza Italia, con particolare riferimento al deputato etneo Nicola D’Agostino, ex renziano. Ma, nelle ultime ore, ob torto collo, anche dalla lista dell’assessore regionale all’Economia, Marco Falcone, che al primo turno aveva operato dei distinguo schierandosi con Nicotra (finito terzo).

Contro Barbagallo, si pone apertamente Garozzo, spalleggiato da tre sigle storiche del centrodestra: Fratelli d’Italia, Prima l’Italia (cioè la Lega) che qui ha raccolto più del 10 per cento, e la Democrazia Cristiana di Cuffaro, che invece è apparsa un po’ sottotono. Praticamente la coalizione si è spacchettata in tre fazioni, l’un contro l’altra armate, che in questi ultimi giorni di campagna continueranno a parlarsi sopra e spararsi addosso, mescolando i temi di giudiziaria – attualissimi da queste parti – con quelli che riguardano la città dove sia Barbagallo che Garozzo hanno già fatto il sindaco. Se Schifani avesse offerto un amalgama alle varie anime acesi disperse, probabilmente il centrodestra avrebbe celebrato una vittoria al primo turno, evitando strascichi di ogni tipo.

Non è accaduto ad Acireale e non accadrà nemmeno a Siracusa, dove è in ballo l’orgoglio di un ex assessore regionale di Forza Italia, Edy Bandiera. Il commissario del suo partito, Marcello Caruso, l’avrebbe chiamato fino alle 10.30 di domenica scorsa (forse) per convincerlo a confluire nel progetto di Ferdinando Messina, sostenuto da quasi tutto il resto della coalizione. Bandiera, però, ha marcato visita, dichiarandosi fuori dal partito (e non più autosospeso): è stato umiliante, per lui, subire l’imposizione di una candidatura riferibile all’on. Riccardo Gennuso cioè “un deputato regionale che non è neanche di questa città”. Bandiera parla di merito calpestato e rivendica la scelta di appoggiare al ballottaggio Francesco Italia, che nel tempo ha visto logorarsi le sue radici di sinistra (e per questo il Pd non lo sopporta). A destra rimane la coalizione originaria, sebbene la Dc abbia preso maluccio il sacrificio del proprio assessore designato per fare spazio ad altre forze civiche.

Nella città di Archimede, ovviamente, il test assume connotati regionali. Dopo aver perso a Trapani e aver urlato ‘al lupo al lupo’ contro Turano, a determinare un’eventuale sconfitta di Messina sarebbe Bandiera. Il quale, al primo turno, aveva accolto fra i propri ranghi la lista dell’Udc con tanto di simbolo. Il risultato dei centristi è scarso, quasi impalpabile, ma i più attenti ricorderanno che l’Udc di Terrana è presente all’Ars con la figura della moglie, Serafina Marchetta, “accolta” da Cuffaro nelle sue liste e inserita nel listino del presidente della Regione per grazia ricevuta (prese appena 25 voti nelle urne: un disastro).

A spulciare le situazioni nei piccoli comuni, si trovano tante storie interessanti. Di divisioni e conflitti. Una di queste proviene da Piazza Armerina, nell’Ennese, dove al ballottaggio incroceranno le spade Nino Cammarata e Massimo Di Seri. Cammarata al primo turno aveva ricevuto la benedizione di Fratelli d’Italia, che ha ottenuto più del 12%. Mentre Di Seri aveva alle spalle Forza Italia, la Dc (anche qui sotto lo sbarramento) e il partito di Cateno De Luca. Dov’è quest’unione? Perché questi inciuci? Quello di Piazza Armerina è il terzo caso su tre che dimostra l’inconsistenza delle parole di Schifani, il cui tentativo appare evidente: sviare dalla vera questione, cioè il rimpasto di governo, che non conviene a nessuno. Proponendo una narrazione alternativa e surreale: di una coalizione unita, di un centrodestra compatto e di un governo che lavora sodo. Macché.

A completare la radiografia dei quattro comuni al voto, c’è ovviamente Aci Sant’Antonio. Dopo essersi diviso al primo turno su tre candidati – tre! – adesso le liti del centrodestra sono rientrate. I partiti della coalizione, infatti, hanno deciso di sostenere Giuseppe Santamaria, che due domeniche fa contava sull’appoggio di Forza Italia e Dc (entrambe rimaste fuori dal Consiglio comunale). I nuovi alleati del competitor unico sono Antonio Scuderi (civico) e Antonio Di Stefano (Fratelli d’Italia). Dall’altra parte della barricata l’unico competitor del campo largo, Quintino Rocca. “Questo accordo, che ci rende più forti, è frutto di ideali comuni – dichiarano i tre di centrodestra – Il primo turno ci ha visti separati per varie ragioni ma con responsabilità, anziché cedere alle lusinghe personali ricevute, siamo riusciti a far prevalere il buonsenso. A fronte di un progetto comune per il bene della città non abbiamo ceduto ai personalismi. Per noi, d’altronde ritrovarci insieme è stata una scelta naturale e l’unica possibilità coerente con quella che è l’identità politica di ciascuno di noi. Siamo felici di essere riusciti a ricompattare il centrodestra anche nella nostra città”. Schifani sarà contento.

Anche se a mettere ulteriormente in crisi l’assunto iniziale – unità e compattezza – sono le dinamiche di Catania, dove Trantino non ha trovato la quadra e Forza Italia litiga sulla scelta del suo secondo assessore. E persino a Palermo, dove fin qui Lagalla ha lavorato senza troppi patemi, è esplosa improvvisamente l’esigenza di un “tagliando”: l’obiettivo, neanche troppo misterioso, è rimuovere le ultime incrostazione miccicheiane dalla giunta (cioè Andrea Mineo e Rosi Pennino, legatissimi all’ex leader regionale di Forza Italia) con un paio di assessori di ispirazione schifaniana. Un regolamento di conti che continua imperterrito. E che rischia di paralizzare – in verità l’ha già fatto – l’azione del governo regionale. Sempre più perso dentro questi piccoli rancori e dinamiche da bar sport.