Doveva essere la colonna portante del nuovo centrodestra, la seconda gamba addirittura, quella in grado di rivoluzionare la maggioranza di governo e imporre un cambio di passo alla Sicilia. Tant’è che si presentò in aula, all’Ars, contestando il metodo adottato da Musumeci & Co. per l’approvazione dell’esercizio provvisorio, e minacciando lo sgambetto fino all’ultimo. Pretese, da parte del governatore, un impegno serio: sulle operazioni di rimpasto, che avrebbero portato un assessore del Carroccio sul carro dell’Agricoltura (dove Candiani pretendeva di instaurare una catena di comando, scegliendosi pure il capo dipartimento), su una piattaforma programmatica comune, su un approccio alla politica diverso e nient’affatto clientelare, su alleanze elettorali condivise. Ma a causa del Coronavirus nulla di tutto questo si è concretizzato e il clamore iniziale, suscitato dalla visita di Salvini che venne a palazzo dei Normanni a battezzare il nuovo gruppo, e al Teatro al Massimo ad incontrare il nuovo popolo, pacificamente si è spento.

La Lega avrebbe voluto lasciare il segno fin da subito, con o senza poltrone, ma il Covid-19 ha fatto il resto e complicato tutto. Così pure il gruppo parlamentare del Carroccio, fra un comunicato di sostegno e un suggerimento a mezza bocca, si è appiattito sulle posizioni di Musumeci e del suo cerchio ristretto. A cui è stata consegnata la gestione della crisi e, a quanto pare, tutta la ricostruzione. La Lega, come altri partiti del centrodestra, osserva dallo specchietto retrovisore il presidente e l’assessore Razza maneggiare i fili della crisi. E non interviene, tranne che in situazioni sporadiche: lo ha fatto il deputato nazionale Nino Minardo, primo artefice dello sbarco del Carroccio all’Assemblea regionale, che di recente è entrato a gamba tesa su un tema caro ai leghisti, come quello degli sbarchi incontrollati di migranti (ma il bersaglio stava a Roma, non a Palermo); lo ha fatto, talvolta, il capogruppo Antonio Catalfamo, che qualche giorno fa aveva suggerito alla Regione di favorire l’accesso al fondo di rotazione da parte delle imprese artigiane e di snellire le procedure burocratiche; s’è sentito anche Candiani – protagonista, assieme a Salvini, del 21% alle ultime Europee – che ha lodato Musumeci per aver importato dalla Cina un grosso carico di mascherine.

Qualche timida voce nel silenzio surreale di queste settimane, dove il virus ha determinato il blocco della politica e in cui il governo regionale, al netto dei pasticci sulla Finanziaria, non riesce a sbrogliare un solo nodo della matassa. E pur tuttavia pretende di farcela da solo, avvalendosi del silenzio e del rispetto che una tale responsabilità comporta. La Lega poteva essere la voce critica e indirizzare l’azione (ancorché il pensiero), ma evidentemente la strategia è diversa. E ce la restituisce come una parrocchietta, senza respiro e senza identità, al servizio delle stravaganze di Musumeci e del suo assessore di fiducia: quello all’Economia. Laddove, per stravaganze, s’intende la volontà di costruire un Bilancio con gli assegni a vuoto. Imperniato sui soldi dell’Europa, che andrebbero rimodulati con procedure lunghe e complesse; e su una trattativa con Roma che non decolla e difficilmente decollerà. Buttanissima l’ha ribattezzata la Finanziaria dei magliari.

Un partito forte avrebbe imposto (o quanto meno, suggerito) l’alt. I ruoli della Lega e di Musumeci, però, sembrano quasi invertiti rispetto ad alcuni mesi fa. Allora il presidente della Regione era costretto a lunghe anticamere a Roma – accolto dai mugugni – per poter parlare con Salvini e chiedere la benedizione di una federazione con Diventerà Bellissima, in parte accordata. Oggi è la Lega a pendere dalle labbra di Musumeci, ad attendere un cenno, un’apertura, per un ingresso nella squadra di governo. Come primo e parziale riscatto di un appoggio che voleva essere austero e mai scontato, ma i cui toni sono diventati blandi e persino un po’ dimessi. Da oggi, però, all’Ars si torna a discutere del Bilancio e c’è ancora spazio di manovra per lasciare il segno. Per affermare che non tutte le azioni determinate dall’emergenza sono azioni giuste: in primis, consegnare il destino dell’Isola, di famiglie, imprese e lavoratori in crisi nera, a una Finanziaria di cartone.