Manca un miliardo. Ma, soprattutto, restano un paio di giorni alla scadenza dell’esercizio provvisorio, che non può essere più prorogato. Eppure, da parte del governo e dell’assessore competente, regna il silenzio. La Finanziaria, adesso, è affar del parlamento. Questa storia, però, può assumere pieghe imprevedibili. La più ponderata prevede il capitombolo. E un periodo di gestione provvisoria. Cioè il blocco della spesa, ad eccezione di quella inderogabile: anche i dipendenti delle società partecipate o degli enti regionali rimarrebbero senza stipendio.  “Potranno essere pagati solo gli stipendi dei dipendenti regionali – ha precisato Luigi Sunseri, deputato del Movimento 5 Stelle, in conferenza stampa – ma non saranno pagate tutte le spese in conto capitale e non si potrà programmare un euro di fondi europei”. Un disastro.

Il triste epilogo di una storia deprimente che l’assessore Armao, come sempre, ha provato a far ricadere su Roma. Colpevolizzando il governo nazionale. E’ da mesi che attende la ratifica di un accordo che avrebbe dovuto ‘svincolare’ 980 milioni per la Sicilia. Soldi da rendere immediatamente disponibili. Si tratta di un impegno che ha preso corpo alla fine dello scorso anno ma che è tuttora sub-judice. Nel nuovo Bilancio di previsione, quindi, bisognerà accantonare una cifra monstre. Si poteva farlo due o tre mesi fa, evitando questa rincorsa disperata a un passo dallo striscione del traguardo. Invece la Regione ha voluto illudersi. Ha voluto dilatare i tempi sperando nel miracolo. Ma anche stavolta l’errore di valutazione è macroscopico, e ora l’Assemblea regionale si ritrova col coltello puntato alla gola (per dirla col segretario del Pd, Anthony Barbagallo). Cioè con la necessità di annientare le procedure parlamentari e correre per evitare guai. Alle opposizioni, che qualche giorno fa avevano invocato l’intervento diretto di Draghi per rimuovere Musumeci e sciogliere l’Ars (per “violazioni dello Statuto”), Armao ha risposto piccato: “Sono considerazioni fantasiose”. Poi ha fatto perdere le proprie tracce.

Come Musumeci, d’altronde. Che di Bilancio non ha mai voluto occuparsi, preferendo le inaugurazioni, le sagre e il dibattito sulla propria ricandidatura. Se dovesse andare come lui spera, si ritroverà a guidare una Sicilia senza un centesimo. Con la spesa a zero. Privata del proprio futuro. Tornando ai conti, ecco cosa rende ‘inaccessibile’ la Finanziaria: in primis, il divieto di spendere i 780 milioni riconosciuti dallo Stato per l’esercizio 2020 a fronte delle minori entrate (causa Covid) che il dipartimento Finanze, a metà marzo, ha contabilizzato in 714 milioni. Bisognerà restituire la differenza (66 milioni), sempre che da parte del Ministero dell’Economia non giungano nuovi conteggi. Ad ogni modo, anche le cifre (potenzialmente) a disposizione, “possono essere utilizzate a seguito di autorizzazione legislativa statale”. “Come noto – si legge nella relazione allegata al ddl Stabilità – la Regione non può coprire le minori entrate con indebitamento o creando deficit. Sicché di fronte alle minori entrate accertate dal dipartimento Finanze (nota del 23 marzo 2022) si potrà realizzare spesa soltanto a seguito del riconoscimento statale di quanto computato, con la conseguenza di dover provvedere al congelamento proporzionale di spesa sino al sopraggiungere della richiamata autorizzazione legislativa”.

Serve, insomma, un’autorizzazione da parte dello Stato. Che dovrà intervenire anche su un altro punto: il rinvio della rata del disavanzo, pari a 211 milioni, “al secondo esercizio successivo a quello di conclusione del ripiano originariamente previsto”. Cioè nel 2030. Anno più, anno meno. Questi soldi, ovviamente, finiranno per gravare sulle generazioni future, oltre che sui prossimi governi. Ma al momento non c’è altra soluzione. Ad ogni modo, il Consiglio dei Ministri dovrà tradurre in legge pure questo intendimento che il Mef e la Regione hanno già condiviso in commissione paritetica. Per giungere ai 980 milioni manca un ultimo tassello: la copertura della quota di co-finanziamento dei progetti europei – una sessantina di milioni – che la Regione ha chiesto di garantire attingendo a un’anticipazione dei fondi Fsc (extraregionali). Siamo l’Isola dalle tasche bucate. L’ultima prescrizione è arrivata in mattinata dal collegio dei Revisori, che ha segnalato un’anomalia riguardante il Fondo pluriennale vincolato in entrata per l’anno 2022 che “risulta di importo diverso rispetto a quanto determinato sulla base delle previsioni finali dell’anno 2021 che risulta essere riportato erroneamente per una somma pari a 769.107.603,92 euro”. Negli allegati invece il Fondo era pari alla somma di 447.514.238, 51 euro.

Quelli appena elencati sono i problemi più seri. Che rischiano di mandare in fumo molti interventi nel medio termine. Un miliardo della prossima Finanziaria (nella scorsa erano appena 65 milioni) rimarrà bloccato finché non ci sarà il “liberi tutti” di Roma. Armao, come al solito, dirà che è una questione di giorni. E che i siciliani possono dormire sereni. Ma nel frattempo i deputati dell’Assemblea regionale dovranno scontrarsi con altre incombenze. Oltre all’attesissimo parere dei Revisori dei Conti, anche gli uffici dell’Ars hanno segnalato delle anomalie da correggere. Nella Legge di Stabilità, già depurata da alcune norme ingombranti (Micciché ha espunto quella sulle assunzioni nelle partecipate e sulla riforma delle Ipab) bisognerà apportare alcuni correttivi: all’articolo 2, in cui si parla delle procedure di liquidazione dell’Espi, gli uffici chiedono di conoscere il contenzioso pendente, oltre che di verificare “la compatibilità di tale previsione” (cioè la presentazione del bilancio finale dell’ente) con “la tutela dei creditori”.

Inoltre, alcuni articoli sarebbero privi di copertura finanziaria: a partire dal 6, che prevede che “i nuclei familiari con tre o più figli, anche non residenti in Sicilia, usufruiscano di uno sconto del 50% sulla tassa d’ingresso da applicarsi in tutti i luoghi della cultura gestiti dalla Regione”. Difficile, secondo gli uffici, ipotizzare che vengano prodotti maggiori introiti tali da compensare i costi degli incentivi. Anche le agevolazioni per le imprese insediate nelle Zes (zone economiche speciali), che prevedono un impegno di spesa di 10 milioni nel 2022 e 35 nel 2023, sono in bilico: “Per la copertura dei suddetti oneri – si legge nei rilievi – si provvede con le risorse del Fondo di sviluppo e coesione, il quale, come è noto, è un fondo nazionale; è necessario, quindi, che il governo confermi che la possibilità sia contemplata nell’ambito della programmazione di tali risorse, poiché in caso contrario la norma  risulterebbe priva di copertura finanziaria”.

Vacillano anche i 10 milioni per la concessione dei contributi utili a migliorare la catena intermodale e il decongestionamento della rete viaria (c’è l’obbligo di notifica alla Commissione europea ed emergono criticità sotto il profilo del rispetto del principio di legalità in materia di misure economiche); ma anche i 10 milioni di anticipazione al Cas, che potrebbero prefigurarsi come “aiuti di Stato”. Insomma, le magagne non mancano e il tempo per porvi rimedio è sempre troppo poco.