Quando ha deciso che avrebbe messo in scena il «Marat-Sade» di Peter Weiss al Biondo, per uno dei suoi ciclici ritorni in palcoscenico, Claudio Gioè ha pure deciso di tornare a vivere a Palermo. Ventisette anni fa, a 18 anni, si trasferì a Roma per fare l’Accademia d’Arte Drammatica, si diplomò, cominciò subito a lavorare e tra cinema, televisione e teatro, è stato cittadino della Capitale per oltre cinque lustri. In Sicilia tornava per motivi familiari, affettivi, per girare qualche film o fiction, in tournée con uno spettacolo.

Adesso è nuovamente palermitano, casa e lavoro. «È da ottobre che vivo qui, è bellissimo viverci, oltre che lavorarci. Era da tempo che volevo fare questo “salto”. Fino ad oggi – e in verità sarebbe troppo presto – non mi sono pentito: rispetto a quando sono andato via alcune cose sono rimaste identiche, uguali, immutate e questo spesso ti fa rabbia, altre invece sono cambiate radicalmente o comunque in meglio, segno di una città che vuole recepire segnali di nuova civiltà, farli propri, adottarli per vivere meglio. È in questa Palermo che mi riconosco».

Il debutto del testo di Weiss venerdì, al Biondo, per la stagione del Teatro Stabile con un bel cast di attori quasi tutti palermitani, a partire dal deuteragonista, Filippo Luna nei panni di Marat (Gioè è invece il marchese De Sade) a Silvia Ajelli, Antonio Alveario, Giulia Andò, Maurizio Bologna, Giulio Della Monica, Germana Di Cara, Ermanno Dodaro, Gaia Insenga, Raffaele Pullara, Fabrizio Romano, le scene e i costumi di Enzo Venezia, le musiche di Andrea Farri.

Pietra miliare del teatro del secondo Novecento, «Marat-Sade». «Attualissimo – tiene a sottolineare Gioè – nonostante sia stato scritto nel 1964. Un testo che mi affascinò fin da quando mi venne assegnato come saggio di chiusura del primo anno di corso alla “Silvio D’Amico”. Allora ero quasi ventenne. È un caposaldo della scena del secolo scorso in quella contesa dialettica tra l’uomo di pensiero e l’uomo d’azione, nella dicotomia tra il marchese e il rivoluzionario, nel tentativo di trovare un punto d’incontro, una sintesi tra l’idea e la sua messa in atto, tra l’utopia e la sua trasformazione in realtà, tra la rivoluzione e il mondo più giusto del quale la rivoluzione stessa dovrebbe farsi strumento, come ponte tra vecchio e nuovo. In un momento di crisi ideologica e politica come quello che viviamo mi sembra che “Marat-Sade” calzi a pennello».

Da ieri intanto su RaiPlay va in onda «Passeggeri notturni», dieci puntate da 13 minuti ciascuna tratte dai racconti di Gianrico Carofiglio (il 20 marzo in un’unica versione su Rai3): storia di un conduttore radiofonico che apre il microfono alla gente che racconta le sue storie, il proprio vissuto. «Un esperimento importante a livello televisivo – dice Gioè al quale le fiction tv, da “Il capo dei capi” a “Il tredicesimo apostolo”, a “La mafia uccide solo d’estate” hanno regalato una grande popolarità – e RaiPlay è la piattaforma giusta su cui lanciarlo e testarlo. Tante storie diverse che si incrociano con quella dello stesso conduttore che avrà una svolta dopo l’incontro con Valeria, una creatura sfuggente e affascinante alla quale dà il volto Nicole Grimaudo».