L’anima del commercio è in lockdown. Chiusa. I tavolini accatastati lungo i marciapiedi sono il sintomo delle città ferme, paralizzate dalla paura e dall’incertezza. Lo sfrecciare dei rider non ricompensa gli esercenti di anni di sacrifici, di lotta spietata con la burocrazia e con il mercato sempre incerto. Il quadrilatero di Palermo ha dovuto sospendere la vita vera. Da queste parti si rimpiangono persino i tempi dell’eterna polemica sulla Ztl di notte. Almeno allora si poteva scegliere (fra auto e no-auto), adesso no. Vigono la rassegnazione e l’attesa.

Bar, ristoranti, pub, pizzerie, pasticcerie, dal 4 maggio, forse potranno operare in regime d’asporto (che è diverso dal domicilio). Ma da qui ad allestire i primi tavoli, con tutte le restrizioni plastiche che è possibile osservare su siti e giornali, ce ne passa. Nel frattempo, però, non ci si rassegna a morire di fame. Un gruppo di commercianti palermitani, qualche giorno fa, ha consegnato attraverso la Cna una lettera all’assessore alle Attività produttive, Leopoldo Pianpiano, affinché facesse da tramite col presidente della Regione, Nello Musumeci, e col premier Giuseppe Conte: “Sono settimane che il settore del commercio, tranne rare eccezioni, vive una fase drammatica di chiusura. È superfluo dilungarsi sulle conseguenze occupazionali ed economiche, evidenti a tutti, che il perdurare di questa chiusura riverbererà sulla economia nazionale, nel settore privato e non solo”.

“Il nostro settore – prosegue la nota – viveva una crisi già profonda e, tolta la misura di ulteriore indebitamento bancario, unica e sola ad oggi prevista, non godrà presumibilmente di nessun altro aiuto concreto. Unitamente a questo si troverà in futuro a dovere affrontare il problema più rilevante e cioè la giustificata paura degli avventori di tornare a frequentare un locale pubblico. La Sicilia (e il sud in genere) non gode a differenza di molte aree del nord (cui va tutta la nostra solidarietà) di un tessuto economico fatto di grande industria. Sono dati noti a tutti quelli che ci ricordano che il 69% della occupazione siciliana rientra nel settore commercio, turismo e servizi. La nostra non vuole essere una lettera di accusa, bensì il grido di allarme di una categoria che da sempre contribuisce alla tenuta economica e sociale di questo Paese e tale vorrebbe continuare ad essere”.

Ristoranti e pub di Palermo, per martedì 28, aderiranno a #risorgiamoItalia, l’iniziativa nazionale che alle 21 in punto vedrà aprire simbolicamente tutte insieme migliaia di attività di ristorazione in una protesta silenziosa e pacifica per esprimere la volontà di tornare in piena attività e il rifiuto di un’apertura che le consegni a fallimento. I ristoratori e somministratori del capoluogo che parteciperanno al flashmob del settore Horeca (acronimo di hotellerie, restaurant, catering) sono già un centinaio e continuano a crescere. Sulle vetrine e sui prospetti di ogni locale sarà visibile un cartello di unione ed esortazione nonché messaggi, fotografie e video per sensibilizzare l’opinione pubblica sul momento critico che stanno affrontando.

Ma fra i vari settori che stanno patendo irrimediabilmente gli effetti dell’emergenza sanitaria, costretti a rimanere chiusi, ce ne sono alcuni che gridano vendetta e ribellione. Molti saloni di parruccheria, sale da barba, centri estetici e di bellezza hanno “minacciato” che dal 4 maggio torneranno al lavoro con o senza l’autorizzazione del presidente del Consiglio dei Ministri. Una semplice provocazione, è chiaro, che denota però una comune difficoltà di sopravvivenza. Eppure c’è sempre qualcuno che va in giro coi capelli all’ultima moda, tagliati da poco, e la barba perfettamente ordinata. A questo proposito il deputato regionale di Forza Italia, Mario Caputo, ha presentato una mozione al governo: “Mentre le attività riguardanti le sale da barba, parrucchieri, centri estetici e di bellezza ad oggi rimangono chiusi per il presunto timore di diffusione da contagio, con gravissimi danni per l’importante e ramificata categoria artigianale e professionale, si è registrata l’impennata di attività a domicilio o in garage di fortuna, totalmente illegali e abusive, oltre che pericolose per la salute in quanto vengono svolte in condizioni antigieniche e con l’uso di prodotti privi di ogni forma di controllo sulla provenienza e la salubrità”. Per questo ha chiesto l’impegno del governo regionale a riaprire.

L’allarme – giustificato – è pure quello degli operatori del cinema e degli spettacoli dal vivo, che non vedranno una produzione chissà per quanto tempo. I cinema sono sbarrati, sigillati, dopo il tentativo di ridurne la capienza non appena si capì che il Covid-19, a febbraio scorso, stava diventando una cosa seria. E gli spettacoli? Oddio, che nostalgia. A Siracusa, tempio delle tragedie, si discute se abbia senso, o meno, riaprire e limitare gli accessi (a 1.500 persone) al teatro greco. Ma è prematuro anche pensarlo. Qualcuno, alla Regione, s’è occupato della questione in sede di Finanziaria. Un emendamento del Pd, approvato in commissione Cultura e Lavoro, ha stanziato due milioni di euro per sostenere le imprese del settore: “Questa misura si rivolge ai gestori delle sale cinematografiche, ma anche alle realtà imprenditoriali che organizzano festival del cinema, ed ai produttori di spettacoli e concerti dal vivo: eventi – hanno detto i deputati Barbagallo e Catanzaro – che hanno sempre rappresentato un importante volano economico per la Sicilia e che adesso stanno subendo pesanti ripercussioni economiche ed occupazionali a causa dell’emergenza Coronavirus”.

La Federazione italiana autonoma dei Lavoratori dello Spettacolo, che rappresenta le categorie artistiche delle fondazioni lirico-sinfoniche, ha constatato con “rammarico il rifiuto di alcuni sovrintendenti circa la possibilità che i lavoratori del settori potessero da subito dare il proprio doveroso contributo al territorio per alleviare il pesante momento che i cittadini stanno vivendo” e che, invece, abbiano deciso di “scaricare il costo del personale dipendente sugli ammortizzatori sociali pur continuando ad incassare i finanziamenti da parte dello Stato e degli Enti locali. Inoltre, visti i tempi di riapertura delle sale, bisogna registrare che il personale a tempo determinato rischia di rimanere tagliato fuori da qualunque tutela contrattuale e salariale”. Molti precari – a titolo d’esempio basta citare quelli che fanno parte del corpo di ballo del Teatro Massimo di Palermo – sono fuori anche dalla cassa integrazione. Molti lavorano a intermittenza, in base alle produzioni, e attendono di essere stabilizzati da circa un ventennio. Da qui l’appello al sindaco di Palermo Orlando e al presidente Musumeci affinché “si possa tornare a offrire un servizio adeguato ai cittadini trovando tutte le tutele per le professionalità che rischiano concretamente di disperdersi”. Lo streaming?

Ma in crisi è piombato pure il settore eventi, come ha spiegato qualche giorno fa Barbara Mirabella, manager della Expo di Catania, prima firmataria di una imponente sottoscrizione. “Le fiere di settore hanno sempre rappresentato in Italia e nel mondo le migliori opportunità di link, promozione e confronto con il mercato di riferimento. Oggi siamo concentrati su un nuovo lavoro, importante, diretto a garantire la tenuta di tutti gli eventi nella loro riprogrammazione e la tutela delle migliaia di aziende ad essi connesse – aggiunge la Mirabella -. La nostra lettera è un grido di allarme di un settore intero che offre sostentamento economico a migliaia di famiglie della regione, e che si sente profondamente colpito non solo dal Coronavirus, ma anche dalla scarsa attenzione da parte del governo centrale, che immagina di collocare il nostro settore alla cosiddetta fase 3, senza alcuna progettualità che vadano al di là di nuovi crediti da chiedere alle banche. Per ogni decreto del governo, che proroga il lock-down di settimane, le nostre imprese rischiano di registrare disdette di mesi”. La lettera è stata recapitata per direttissima agli assessori regionali Messina e Turano. Anche fuori dai loro uffici la coda è lunghissima e le risposte pochine. Mai come questa volta, però, è necessario ricordarsi di tutti.