Se n’erano dimenticati.

Stava lì, da solo, in attesa che venissero proclamati gli eletti.

Lo trovarono appinnicato sulla poltrona, con il cruciverba quasi interamente risolto e “Guerra e Pace” aperto alle pagine iniziali.

Era rimasto lì a fare la simulazione per verificare se i “bottoni” del potere continuassero a funzionare.

Di tanto in tanto riceveva delle telefonate, più spesso le faceva lui e avvertiva talora quasi un fastidio dagli interlocutori, che sembrava volessero digli “Stai tranquillo, ti faremo avere la struttura del governo quando sarà il momento”. Voleva sapere di più, qualche anticipazione o la conferma delle ipotesi che leggeva sui giornali.

Teneva sulla scrivania un grande foglio sul quale annotava nomi e assessorati, componendo e scomponendo e capiva sempre di più quanto fosse difficile appattare.

Accanto a quel foglio ne aveva messo un altro con l’intestazione “proposte di programma”, che rimaneva del tutto bianco.

Lui, politico di lungo corso, rimasto lontano dalla Sicilia, se pure qualche idea aveva, aspettava suggerimenti, sperava che arrivasse la proposta nuova, quella dirompente, in grado di far compiere alla Regione il tanto atteso salto di qualità, di farla uscire dal pantano nel quale si trovava da tempo e di consentirgli di svolgere un ruolo più incisivo di quello dei suoi predecessori.

Ma quelli, gli interlocutori telefonici, rimanevano concentrati sulla spartizione degli assessorati e degli altri posti di comando.

Del resto erano le cose che conoscevano, delle quali da sempre erano pratici: una cosa a me, una a te, mezza a quell’altro, due che mi toccano perché ho avuto qualche voto in più.

Che non è roba da liquidare qualunquisticamente. Anche di questo è fatta la politica. Ma se la politica non c’è, rimane solo questo e si può sempre sperare che la gente continui ad essere distratta, non si accorga di loro, dei loro intrighi e del presidente della Regione chiuso da solo nei saloni di palazzo d’Orléans.

Del resto, coloro che pattiano che idee politiche volete abbiano? Per loro quello è un terreno sconosciuto.

Non hanno mai pensato, non sono stati costretti a farlo, si sono resi conto che non serve sfirniciarisi lu sensu per avere i voti.

Il presidente, in questi lunghi giorni di attesa e di solitudine, che gli stavano provocando la claustrofobia, ha sperato che qualche suggerimento gli venisse dalle opposizioni.

La sinistra, si sa, pensa e ripensa, utilizza i suoi intellettualoni organici, fa ricerche, produce documenti.

L’ha pensato, Schifani. Ma poi ha capito che quella sarebbe stata la sinistra dei suoi lontani anni giovanili, quando ancora faceva il praticantato per esercitare la sua professione.

Ha preso atto così che da questa parte, dalla sinistra, da quella siciliana in particolare, non poteva aspettarsi alcun contributo.

Quella che per una stanca abitudine semantica continua a chiamarsi sinistra se n’è stata zitta, non ha disturbato il presidente della Regione né quelli che hanno continuato a fare e disfare la giunta e gli uffici di presidenza con cordiali scambi di opinioni conditi da insulti, come tra alleati leali.

La sinistra si è limitata ad aggiungere i propri silenzi a quelli degli spazi dorati del palazzo presidenziale, avendo poco da dire e non sapendo come far conoscere neppure quel poco.

Ha smarrito infatti gli strumenti vocali e visivi della comunicazione, ha rotto i rapporti con la gente che è faticoso tenere e non servono molto a confermare in ciò che resta dei posti di comando quelli che da tempo vi sono abbarbicati.

Nelle rare occasioni in cui si incontrano, si limitano ad una sorta di flebile dichiarazione di esistenza in vita e assistono inerti al progressivo asciugarsi della loro parte politica.

Schifani comunque è uscito dall’isolamento, potrà partecipare direttamente e non più da remoto alla definizione degli assetti di potere e poi non dovrà continuare a leggere “Guerra e Pace”, che è molto lungo e pure impegnativo.