La crepa con Fratelli d’Italia? Per Schifani non c’è mai stata. Si tratterebbe di una ricostruzione fantasiosa. Al presidente della Regione, già dai tempi di Palazzo Giustiniani, appartiene la fama dell’equilibrista. Ma le ultime dichiarazioni alla stampa sembrano fuori dal mondo: “Alludere a presunti rapporti non idilliaci tra la presidenza ed il partito di maggioranza relativa nazionale – ha detto Schifani – è un esercizio arduo che non avrà successo, soprattutto se tali mistificazioni, sono finalizzate ad attrarre curiosità, che non sono basate su presupposti di verità”. Se è come dice Schifani, che sono tutte mistificazioni, anche la sua esperienza di governo è stata una messinscena (applausi!).

Il presidente della Regione si è ritrovato a dover gestire un tentativo, da parte dei patrioti, di far pesare i voti fino all’ultimo. All’inizio Fratelli d’Italia c’è riuscita agevolmente: imponendo due assessori non deputati, a differenza di quanto aveva preteso Schifani nel giorno dell’insediamento; ed impedendo al governatore di cacciare Scarpinato dopo i fatti di Cannes (ci si è ridotti a una staffetta insulsa con Elvira Amata che non ha restituito credibilità al Turismo).

Incassati questi risultati, FdI ha dovuto faticare più del previsto a imporre il proprio credo: le (mancate) proroghe Covid per il personale amministrativo fecero registrare una contestazione feroce nei confronti dell’assessore Volo, adepta del governatore. Mentre, in materia turistica, non sono mancate le scintille: lo scontro funesto con l’ex assessore Manlio Messina dopo i fatti di Cannes e l’affidamento diretto da 3,7 milioni ad Absolute Blue; il ritiro in autotutela di un provvedimento da mezzo milione a Rcs Sport per l’organizzazione di un evento mondano a Palermo; la revoca dei contratti con gli albergatori dopo il fallimento certificato di SeeSicily. Tutta roba imputabile a FdI che Schifani ha provato ad archiviare, provocando il fastidio se non l’ira dei patrioti.

I quali si sono risentiti, a un certo punto, anche sulle province. Ricordate Giorgio Assenza? Il capogruppo di FdI all’Ars fece presente a Schifani che non si sarebbe potuti andare avanti con la riforma senza che Roma avesse abrogato la Legge Delrio; il presidente, stizzito, usò contro di lui le rassicurazioni di Calderoli. Il risultato è che oggi la Sicilia è ferma anche su quel fronte. Poi c’è la vicenda della Struttura commissariale per la depurazione delle Acque: la nomina di Fatuzzo in qualità di commissario unico, e di Cordaro come vice, fece infuriare il governatore, che disse di prediligere la competenza (finendo per scoprire il fianco rispetto agli ‘scienziati’ nominati da lui in altre sedi: altro appunto di Assenza). L’ultima polemica, neanche troppo velata, riguarda le nomine della sanità: Fratelli d’Italia ha chiesto una considerazione “diversa” rispetto agli altri partiti della coalizione e pretenderà di averla fino alla vigilia della deadline, fissata per il 31 ottobre.

Ma c’è dell’altro. I patrioti non hanno affatto digerito l’alleanza con la Dc di Totò Cuffaro in vista delle prossime elezioni europee. Non tanto perché potrebbe rosicchiare dei voti a un partito che, dopo un anno di governo Meloni, continua a dominare nei sondaggi; quanto per i margini di influenza nelle scelte di sottogoverno, nella nomina dei commissari e dei manager, nella spartizione degli incarichi. Si è già visto sulle vicende di Fontanarossa, dove lo scontro fra Schifani e il ministro Urso è stato violentissimo e non ha riguardato solo gli effetti di una contingenza negativa (ossia l’incendio al Terminal A che ha fatto precipitare la Sicilia nel caos nel cuore dell’estate); bensì la prospettiva. L’ “occupazione” dell’aeroporto da parte di Forza Italia – il che contempla quasi sempre l’ultima parola su incarichi, consulenze e creazione del consenso – è un elemento di rottura che si trascinerà ancora a lungo. Almeno finché Schifani non darà qualche segnale d’apertura, concedendo spazio nel Cda.

Tornando all’alleanza Schifani-Cuffaro, che si tratti di una vicenda scomoda lo dimostra il comunicato di FdI per stigmatizzare “la campagna acquisti a danno della coalizione. Fratelli d’Italia se utilizzasse la leva del potere a discapito degli alleati sarebbe certamente più attrattiva: siamo il primo partito grazie alla bontà delle nostre idee e alla credibilità di Giorgia Meloni”, scrissero i deputati all’Ars di FdI non più tardi del 16 settembre. Con un chiaro riferimento alla Democrazia Cristiana. E inoltre: “Non si può trasformare la politica in frenesia di potere, famelica ricerca di poltrone. Il mercimonio del consenso non è Politica. Si legge di prossime nomine attribuite a tizio o a caio sulla Sanità, come se l’appartenenza partitica facesse curriculum. Noi non ci stiamo! Siamo certi che il governo Schifani- in coerenza con gli impegni assunti- sceglierà i migliori manager”. Più che una certezza, somigliava a un avvertimento. E Schifani non può non averlo colto. Non è l’ultimo pivello della politica. Il compito di un leader è stemperare il clima, ma non a tal punto da negare l’evidenza.

Anche perché, al netto dei contrasti, dei rancori, dell’incapacità di governare per davvero, la prima abilità del presidente della Regione resta quella di montare e smontare polemiche, utili solo alla politica politicante. E ad allungare il brodo insipido di una legislatura che sta trascorrendo in sordina: senza un atto o una riforma che impegnino realmente il parlamento o provino a cambiare il volto della Sicilia. Persino durante la visita del ministro meloniano Raffaele Fitto, per la Regione, non sono arrivate risposte confortanti in merito alla capacità di spesa dei fondi europei. Solo rassicurazioni parziali, oltre alla presa d’atto dell’ultimo “scippo”: le Zes, le Zone economiche speciali, passate sotto il controllo di Palazzo Chigi. Per il deputato dei Cinque Stelle, Luigi Sunseri, “il decreto sulle Zes costituisce la prova della politica accentratrice romana, dove evidentemente non ci si fida nemmeno dei governi sostenuti dai loro stessi partiti, come quello siciliano”.

Ultimo elemento da non sottovalutare, infine, è l’altro asse strategico di Schifani. Se da un lato, con Cuffaro, il feeling è solidissimo, anche con Salvini i rapporti sono idilliaci. Tanto che i due, per ammissione dello stesso Ministro, arriverebbero a sentirsi due o tre volte al giorno. I giochini sottobanco con il responsabile delle Infrastrutture, che non fa mai niente per niente, rivelano una profonda sintonia politica che non può far piacere a Giorgia. Giacché l’obiettivo del leader del Carroccio, da qui alle europee, sarà quello di scavalcare a destra la Meloni e rubare voti a FdI. Ci sta già provando. E Schifani, fra la mamma e il papà, non sembra avere molti dubbi. Ha scelto il papà.