L’avvio della fase due, a partire dal 4 maggio, ha scontentato (quasi) tutti. Le misure stabilite dal comitato tecnico-scientifico e avallate dal governo Conte non sono andate giù ai vescovi. Il presidente del Consiglio, infatti, ha concesso la celebrazione dei funerali, preferibilmente all’aperto, e con un massimo di 15 partecipanti; non le funzioni religiose, che devono attendere. Da qui la protesta della Conferenza episcopale: “I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto – è il disappunto espresso dalla Cei in una nota -. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale”.

Già nella serata di ieri Palazzo Chigi ha emesso una nota semi-riparatoria: “La Presidenza del Consiglio prende atto della comunicazione della Cei e conferma quanto già anticipato in conferenza stampa dal Presidente Conte. Già nei prossimi giorni si studierà un protocollo che consenta quanto prima la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza”. Ma da parte del comitato tecnico-scientifico emergono “criticità ineliminabili” che rendono impossibile la riapertura, già dal 4 maggio, delle funzioni religiose.

In particolare il comitato ritiene che “la partecipazione dei fedeli alle funzioni religiose comporta, allo stato attuale alcune criticità ineliminabili che includono lo spostamento di un numero rilevante di persone e i contatti ravvicinati durante l’Eucarestia”. A partire dal 4 maggio quindi e “per le successive tre settimane”, sostengono gli esperti, “non essendo ancora prevedibile l’impatto che avranno le riaperture parziali e il graduale allentamento delle misure attualmente in vigore sulle dinamiche epidemiche, il comitato reputa prematuro prevedere la partecipazione dei fedeli alle funzioni religiose”. Un parere, fanno notare però, che potrà essere rivisto “a partire dal 25 maggio nella direzione di una previsione verso la partecipazione dei fedeli alle funzioni religiose, rispettando rigorosamente le misure di distanziamento sociale sulla base degli andamenti epidemiologici”.

Anche all’interno del governo ci sono pareri contrastanti, con le ministre Bellanova e Bonetti di Italia Viva sulle barricate: “Non è comprensibile continuare a impedire l’accesso in chiesa”. Tra i più rigidi Roberto Speranza, titolare della Salute: “Se sbagliamo la situazione epidemiologica può peggiorare in fretta”. Ma Conte non ha alcuna voglia di innescare tensione con i vescovi, che fin qui ne hanno sempre sostenuto le posizioni, e che di recente hanno deciso di destinare una parte dell’8 per mille alle famiglie in difficoltà (per 150 milioni circa). Nella settimana che ci separa dall’applicazione del Dpcm, qualcosa potrebbe cambiare.

Ma ci sono altri fronti aperti. Ristoratori, parrucchieri ed estetisti non si aspettavano di dover rinviare l’apertura al primo giugno, e sono sul piede di guerra (la concessione dell’asporto è un palliativo, c’era già la consegna a domicilio). Stanno peggio gli operatori del turismo, ormai rassegnati a un’estate sanguinosa. Conte ha appena accennato alla situazione degli stabilimenti balneari, e non ha mai parlato di hotel e strutture ricettive. Si prevede una fase due a scaglioni, ma rovente di polemiche.