L’unica destra accettata è quella che piace a sinistra. Mara Carfagna che porta i diritti civili ai ricchi invece che garanzie sociali ai borgatari, quindi Silvio Berlusconi che tiene da conto Giuseppe Conte e, infine, Papa Francesco: il titolare del marchio “Dio, Patria e Famiglia” che rinfresca la ragione sociale della ditta in chiave Cirinnà, nel senso di Monica.

Nessuno dei tre, sia Carfagna, sia Berlusconi che Bergoglio – manco a dirlo – mai vorrebbe essere collocato a destra e fatto è che destra-destra ha cattiva stampa: è coatta, abita la pancia degli italiani, ed è ancora una volta quella “alle vongole”; giusto quella della formula di Mario Pannunzio – lo scriveva su Il Mondo, correva l’anno 1952 – marchiata nella condizione di minorità antropologica.

La lingua del potere che è quella della sinistra – quella degli italiani di serie A, che è quella delle istituzioni oltretutto – è l’unico codice incaricato di ammannire le legittimazioni per così fare del sistema “paese”, nell’interezza della sua struttura burocratica-amministrativa, un vero e proprio regime di psico-polizia.

Un unico tazebao la cui voce del padrone è il mainstream che decreta la reputazione di tale e di talaltro ben oltre il perimetro della discussione pubblica. Il dettato, interviene direttamente sul sentimento e sulla percezione di uomini e fatti, e gli esempi – ma la discussione è davvero logora – non mancano.

Vittorio Feltri ha la scorta da vent’anni ma questa sua condizione di pericolo non determina nessuna narrazione epica, anzi. Adesso che s’è venuto a sapere di certo qualcuno si premurerà presso il ministro Lamorgese per chiederne la revoca. La sua aura, infatti, è quella del ceffo cui censurare le “incaute ospitate” presso le apposite autorità morali. Al di là dei discorsi sui meridionali – sull’eccesso di pop che il direttore di Libero è capace di generare – nessuno si accorge di un dettaglio rivelatore: in occasione dei 96 anni di Eugenio Scalfari, sul suo giornale impossibile da esibire tra i benpensanti, Feltri scrive un così magnifico ritratto del fondatore de La Repubblica da costringerci tutti a un perché. Perché mai, a parti invertite, un fatto così cavalleresco e sincero, da sinistra a destra non potrà mai esserci?

Quando muore Giovannino Guareschi, l’autore di Don Camillo, l’Unità scrive una breve: “È morto lo scrittore che non era mai nato”. Il Secolo d’Italia – il quotidiano della destra nazionale – in morte di Palmiro Togliatti pubblica un articolo di compiuta eleganza: “Questo requiem per Togliatti è venuto giù come ci veniva; come conveniva all’uomo e alla nostra stessa dignità.”

La destra, urge ripeterlo, segue l’insegnamento di Leo Longanesi: “Irresistibilmente attratti dalle idee altrui.” La sinistra, al contrario, si compiace di sé al punto di voler conformare a se stessa la propria negazione. A immagine e somiglianza dell’Italia, ce n’è solo una di destra: “Una destra che piacerebbe a Montanelli”, dice Aldo Cazzullo, editorialista de Il Corriere della Sera, in un’intervista a Pietro Senaldi di Libero. Ed è, questa della variabile “Montanelli”, il suggello. Apre la strada a quella maggioranza silenziosa da sempre senza voce e senza rappresentanza politica, avvia il sentire del ceto medio in un altrove tutto di destra-destra, senza più complessi di sudditanza perché, sia detto una volta per tutte, non c’è paragone tra Il Mondo di Pannunzio e Il Borghese di Longanesi. Non c’è mai stato paragone.