Da qualche tempo lo stigma del “pecorone” colpisce chi si vaccina. Forse la tanto agognata “immunità di gregge” è all’origine di questo stigma e lo rafforza, forse a suggerirlo è semplicemente l’idea che ci siamo fatti della pecora, animale dal comportamento mite e poco portato a scelte individuali.

La libertà dal vaccino, dal Green pass, dal controllo, dalla discriminazione tra cittadini

è d’altra parte sostenuta anche in nome dello spettro di un totalitarismo che starebbe prendendo piede pian piano, grazie all’inconsapevolezza di un gregge acquiescente e acritico. Ci sarebbe “un piano” specifico, e “loro”, che pecoroni non sono perché “hanno una testa”, non si lasceranno frodare della loro libertà, della loro volontà di non essere vaccinati, del loro sacrosanto diritto di scelta.

Sin dall’inizio il racconto di questa pandemia si è dispiegato attraverso metafore che hanno coinvolto il regno animale e la prima discriminazione è stata questa, ché anche noi siamo animali, ma non sempre ci piace ricordarlo.

I primi ad essere chiamati in causa sono stati i pipistrelli, da sempre considerati, almeno nel nostro mondo, personificazioni diaboliche. Non più topi e non ancora uccelli, volano sì ma con ali inquietanti e membranose, dormono appesi a testa in giù capovolgendo la nostra visione, vivono nella notte, nera come il loro corpicino, sono ciechi ma “vedono”, fanno paura anche perché, si dice, se si aggrappano ai capelli è difficile strapparli via. Da quando sono stati additati come probabili portatori del virus, in molti paesi dell’America latina e non solo si è tornati a bruciarli vivi come, fino a non molto tempo fa, ho appreso che accadeva durante le feste pasquali di certi nostri paesi, quasi per esorcizzare la presenza dell’ombra, del demonio, del cupo rimbombo del nostro stesso cuore alle prese con la propria irrazionalità.

Bruciamo i pipistrelli, dunque, e temiamo le pecore, “che fanno”, come mi è stato detto, “propaganda di regime”.

E’ colpa dei pipistrelli, dunque, se siamo diventati pecoroni. Le loro mani alate – ché chirotteri vuol dire proprio questo – ci hanno bendato gli occhi, ottuso l’intelligenza e infettato il respiro.

Ma io sono contraria alle discriminazioni, a tutte le discriminazioni, e non mi sento né di colpevolizzare i topi volanti, né le amiche pecore così palesemente inoffensive, non ritrovandomi, peraltro, tra gli uni né tra le altre. Piuttosto, questa divisione tra posizioni così nette mi ricorda Azazel, che nel Levitico è presentato come un certo demone, molto vorace, che abitava nel deserto. A lui periodicamente il sacerdote inviava un capro vivo su cui, imponendo le mani, aveva precedentemente caricato tutti i mali, le iniquità e le impurità del popolo d’Israele.

Un altro capro veniva invece benedetto e offerto in sacrificio al Signore.

Accompagnato solo dalla propria incommensurabile innocenza, il primo capro, vivo, veniva lasciato libero nel deserto: libero sì, ma esclusivamente di morire di fame; e la sua morte rappresentava la purificazione dei figli d’Israele, perché i loro mali morivano con lui e placavano per qualche tempo Azazel che, sazio, si asteneva dal tormentare la comunità.

Il secondo capro, invece, quello benedetto ma altrettanto innocente del primo, moriva di una morte più violenta ma anche più veloce, perché offerto in sacrificio.

A nessuno dei due capri era dunque consentita la libertà di vivere e morire per se stessi: potevano solo – loro malgrado – morire in quanto strumenti di purificazione.

Ora, mi sembra che potremmo riconoscere nuovamente ad Azazel, in questo nostro tempo, la parte di un novello demone, quella del virus vorace, e poi ognuno di noi potrebbe scegliere se identificarsi più nel capro appesantito dai mali altrui o in quello leggero e innocente, perché questo siamo: capri pro vax e capri no vax, uguali, appartenenti alla stessa famiglia, sacrificati entrambi – gli uni alla sperimentazione vaccinale, gli altri al virus -, ma entrambi infervorati nel rivendicare una cosiddetta libertà che non sta in effetti né da un lato né dall’altro.

Mentre noi ci accaniamo (o forse dovrei scrivere “accapriamo”) nel difendere strenuamente le nostre posizioni, infatti, Azazel, il virus, continua a imperversare tutt’intorno, divorando capri buoni e cattivi.

Sta a noi scrivere l’epilogo di questo racconto di pandemia e pandemoni: a noi decidere di scegliere la libertà di vivere e non quella di morire scornandoci gli uni con gli altri sotto gli occhi famelici di Azazel.