“Non sono d’accordo con i toni di questo corretto perbenista, e a tratti stucchevole, che se la prende con i pregiudicati per mafia, rei – dopo aver scontato interamente e dignitosamente la loro pena – d’aver ancora voglia di parlar di politica. Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri non sono stati condannati all’esilio, alla gogna civile o all’obbligo perpetuo del silenzio ma alla galera. L’hanno scontata e – pena accessoria – non potranno più né votare né essere eletti. Ma conservano il pieno diritto (come osserva il professor Fiandaca) di dire quello che pensano”. Lo ha scritto sui social il presidente della commissione regionale Antimafia, Claudio Fava. “Meno comodo – insiste – è prendersela con chi è andato a cercarli, a richiederne benedizioni e raccomandazioni elettorali: ed infatti sui questuanti eccellenti tacciono tutti, compresi i columnist della nobile stampa antimafiosa”.

“Una decina di giorni fa – riflette Fava – c’è stato un incontro all’hotel delle Palme. Il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci è andato in udienza da Marcello Dell’Utri, che lo ha benevolmente accolto; Musumeci ha chiesto un’intercessione con Berlusconi per la propria ricandidatura e il suddetto Dell’Utri gliel’ha concessa passandogli al telefono il Cavaliere. A causa di questo siparietto palermitano, la pubblica riprovazione s’è rovesciata solo su Dell’Utri mentre il Musumeci, furbo e muto, ha provato a farla franca. Io la penso esattamente all’opposto, e pazienza per gli irriducibili del moralismo antimafioso che la prenderanno male: ovvero, per me Dell’Utri può parlare con chi vuole, è un suo diritto. Il Presidente della Regione Siciliana, lui no, non può parlare con chi vuole: soprattutto se il suo interlocutore è un condannato in via definitiva per mafia. Avergli chiesto un’intercessione, un favore, un’apertura di credito politico su Roma ne fa, subito, un presidente dimezzato, un candidato compromesso, un uomo di parte. E della parte sbagliata.

“Sono d’accordo anche con il giudice Morvillo – conclude Fava -. Musumeci si tenga lontano, il 23 maggio e il 19 luglio, da chi ricorda i nostri morti. Se frequenti i condannati per mafia non hai titolo per frequentare il ricordo delle vittime di mafia. Provare a fare l’una e l’altra cosa è solo una bestemmia. Delle peggiori”.

Non si è fatta attendere, però, la replica del governatore. Anch’essa affidata a Facebook: “Quando la mafia tentava un attentato contro di me, per aver revocato un appalto miliardario, il deputato Fava si limitava a commemorare suo padre, al cui ricordo mi sono sempre unito in ogni occasione, ben prima di assumere ruolo di governo locale. L’insulso perbenismo di questo personaggio, invece, è una violenza alla Costituzione e alla moralità pubblica”. Poi l’attacco al deputato dei Cento Passi continua: “Si dovrebbe vergognare perché è un parolaio che vive di rendita e cerca ogni giorno un titolo di giornale, mentre da candidato alla presidenza non ha avuto neppure la buona creanza di dimettersi da presidente dell’antimafia regionale, come invece feci io nel 2017. L’unica cosa davvero stucchevole è il moralismo di chi si offre, come candidato presidente, agli eredi di quel “sistema antimafioso” che ha guidato la Sicilia e che oggi cerca di farsi vivo di nuovo, magari sotto mentite spoglie. Ma con me Fava cade male: con me in Sicilia è tornata la moralità nelle istituzioni, rese impermeabili a padrini e padroni, di qualunque colore. Se ne faccia una ragione”.