Ne farà, al solito, un film “psicologico”, di quelli che allignano tra cronaca e storia ma in verità sono double face, “introspettivi”. Certo, il titolo rimanda più ad un thriller, Il traditore e anche lui, Marco Bellocchio, che è il regista, ha avuto qualche dubbio, pure se il tema quello è, il tradimento: ovvero, ha tradito Cosa nostra, la mafia dei corleonesi sanguinari di Totò Riina che ha sovvertito i codici, o ha tradito Tommaso Buscetta, il protagonista del film, che è passato dall’ “altra parte” trasformandosi nel più celebre tra i collaboratori di giustizia, nella raffigurazione mitica del “pentito”? Quesito, dunque, posto in maniera astuta e accattivante. Come dire, due diversi modi di tradire.

Produzione “rinforzata”, compresa Rai (senza Rai o Sky da nessuna parte vai, è da tempo il motto), una faccia popolare come quella di Pierfrancesco Favino per il “boss dei due mondi”, riprese tra Brasile e Sicilia, insomma un filmone, almeno sulla carta.

Di primo acchito è parso strano che Bellocchio abbia pensato di mettere mani in quella collosissima pasta della mafiologia cinematografica. Lo hanno fatto molti grandi registi, si dirà, di ieri e di oggi, ne son pure venuti fuori capolavori della Settima Arte (uno per tutti il “Giuliano” di Rosi), Bellocchio è uno che ha anche fatto “Buongiorno, notte”, fra gli altri, il film sul sequestro e l’uccisione di Aldo Moro. Altro tema, però, diverso coté politico-sociale-narrativo. Lo stupore nasce forse dal fatto che, negli ultimi trent’anni o giù di lì, tra grande e piccolo schermo, la mafia “romanzata” (tratta dai grandi eventi di cronaca o su soggetti originali) sia diventata, tra cinema e tv, un “genere” con un occhio rivolto al tema nel suo aspetto storico e sociale e un altro al business, e alcune volte al tema piegato al business stesso. Almeno dal “dopo-stragi” fino ai nostri giorni. Cinema o tv di utilità sociali, beninteso, fatti apposta per ricordare, commemorare, far riflettere. Ma anche affollati – a distanza ravvicinata – di eroi, antieroi, personaggi sul crinale insidiosissimo dell’antieroe che cerca il riscatto (Buscetta potrebbe figurare in quest’ultimo elenco), martiri in odore di santità. In un affollamento che non sempre ha fatto bene alla causa antimafia né alla missione della buona arte.

La stessa faccia d’attore ha incarnato, ad esempio, carnefici e vittime: Claudio Gioè è stato un efferato e credibile “capo dei capi” Totò Riina ma anche un altrettanto convincente Mario Francese del quale il boss di Corleone ordinò l’esecuzione (non si è fatto mancare, a dire il vero, nemmeno un vicequestore della Mobile di Palermo senza timore alcuno del pericolo). E sapreste dire, per fare un altro esempio, chi avete preferito nei panni di Giovanni Falcone fra Massimo Dapporto, Michele Placido, Ennio Fantastichini e Massimo Popolizio? O quale è stato il Borsellino umanamente più centrato tra quelli proposti da Giancarlo Giannini, Beppe Fiorello, Cesare Bocci, Emilio Sofrizzi? Ai volti, poi, si sono mischiate storie principali e parallele, pubbliche e private, in un crescendo, anche emotivo, di consenso collettivo, di coscienza, di resipiscenza quasi, di catarsi. Un’epoca per un’epica, storia (recente) e memoria, cronaca e mito. C’è da chiedersi però se il “meccanismo” – oltre i riscontri commerciali – possa ancora funzionare ai diversi livelli (racconto, lettura e spiegazione del fenomeno, consapevolezza sociale) o se sia da oleare o da rinnovare.

Ce lo svelerà forse il Buscetta bellocchiano che, pur se “d’autore”, la sua attrattiva popolare ce l’ha già in fase d’esecuzione per quanto ha incuriosito e fatto parlare di sé, ci dirà se funziona ancora la cronaca di ieri o l’altroieri che si è fatta materia da annali o attrae di più la docufiction (Maxi – Il grande processo alla mafia in onda in queste settimane su Rai Storia ne è un esempio), se fanno ancora presa il grande personaggio o il grande evento, se solletica ancora la nostra voglia di sapere la Storia (seppure recente) o se non convenga indagare più sul presente, su storie minime magari, con la “s” minuscola, su episodi, spunti, comprimari, inediti se possibile, che siano, allo stesso modo, mafiologicamente emblematici. Oltre che affascinanti da raccontare, come ogni buon romanziere insegna.