Sulla scelta di Musumeci non è ancora detta l’ultima parola: nella conferenza stampa convocata per domattina, alle 10.30, il presidente della Regione potrebbe limitarsi a ritirare la propria ricandidatura, evitando di spaccare il centrodestra e congedandosi da “padre nobile”; oppure potrebbe lanciare l’ultimo messaggio, una sorta di ultimatum, ai partiti (un tempo) alleati. Della serie: o con me, o contro di me. C’è anche l’ipotesi che si dimetta per ricandidarsi – la più quotata secondo il ‘profeta’ Cateno De Luca – che nelle ultime ore, però, è sempre più remota.

Non mancheranno comunque gli effetti speciali. Musumeci arriva stanco all’appuntamento. Quasi logoro. E certamente scosso dai fischi di Taormina che l’hanno relegato a una macchietta qualunque, stile Crocetta. E’ un destino cinico e baro che il presidente della Regione non accetta e, soprattutto, crede di non meritare. Qualcuno, nel suo entourage, suppone che alla serata di gala della XII edizione di Taobuk gli abbiano giocato un brutto scherzo. Che l’intervento di Ficarra e Picone, utile a impallinarlo, sia stato ordito da qualcuno ai piani alti. Allucinazioni. Ai festival i comizi non pagano. E uno esperto come Musumeci dovrebbe saperlo.

La partita, adesso, si sposta su altri binari. E in attesa di capire cosa farà il governatore – se giocherà in difesa o di rimessa – tutt’intorno è un brulichio di opzioni. Il piano-B prevede che i partiti della maggioranza, quelli più riottosi al bis di Musumeci, offrano a Fratelli d’Italia una valida moneta di scambio. Cioè un ‘patriota’ che non sia Musumeci alla guida della Regione. E’ una mossa sensata, soprattutto alla luce dei futuri equilibri nazionali. Né Meloni né Salvini vogliono dividere il centrodestra: rinunciare alla Sicilia, però, significherebbe per Giorgia avanzare pretese sul Lazio e, ancora peggio, sulla Lombardia, dove Attilio Fontana è atteso alla riconferma. Che avvenga è del tutto improbabile. Per questo la exit strategy migliore, è accontentarla subito.

Piccolo inciso: la leader di FdI non ha preso affatto bene la scelta di Musumeci di nominare Aricò come assessore alla Formazione, senza prima consultarla (e negli ultimi giorni non avrebbe risposto a un paio di telefonate dell’amico Nello, evitando di farsi intercettare persino da La Russa). Detto questo, tutti si chiedono: potrebbe la Meloni restare insensibile di fronte all’offerta di candidare un uomo, o una donna, di partito? Musumeci, d’altronde, è solo un federato… L’opzione più credibile, al momento, è quella di Raffaele Stancanelli. Ha l’esperienza e la caratura per un ruolo così complesso. L’ex sindaco di Catania sta benissimo a Bruxelles (dove vorrebbe rimanere altri dieci anni), ma è lusingato da tante attenzioni. Il suo nome fu fatto per la prima volta durante un vertice ad Arcore, fra Berlusconi e Miccichè, anche se Licia Ronzulli si affrettò a smentire la circostanza. La principale caratteristica di Stancanelli è essere benvoluto da tutti: persino da Cateno De Luca, che a quel punto potrebbe riformulare la sua proposta per palazzo d’Orleans.

Stancanelli, che fu tra i fondatori di Diventerà Bellissima, ha smesso di frequentare Musumeci dopo la tormentata direzione del partito, nel 2019, quando la sua mozione venne apertamente osteggiata dal presidente della Regione, che scelse di non federarsi con Fratelli d’Italia (salvo ripensarci, tre anni dopo). Ma oggi rappresenta la discontinuità che chiedono Lega e Forza Italia: soprattutto nel metodo. Tra i nomi al vaglio della coalizione ci sarebbe anche quello di Carolina Varchi, donna e avvocato in gamba, che qualche settimana fa ha rinunciato all’investitura del suo partito, che la voleva sindaco, per far convergere l’intera coalizione su Lagalla. Punti a sfavore: non ha mai amministrato. E, soprattutto, potrebbe iniziare a farlo tra pochissimi giorni, dato che il suo nome è nella lista degli assessori per il Comune di Palermo. Nel toto-nomi della vigilia è un’aspirante alla carica di vicesindaco. E’ pensabile un’altra rinuncia?

Ma c’è un terzo nome, che evoca precedenti non proprio sobri: quello di Manlio Messina. L’assessore al Turismo, che ha avvicinato Musumeci a Fratelli d’Italia, è lo stesso che ha speso 2 milioni per una mostra del cinema siciliano a Cannes; che traccheggia con la società di Cairo e con le più grandi agenzie pubblicitarie per garantirsi un ritorno d’immagine; che pubblica la foto dell’ex premier Conte in manette; che si concede insulti e improperi sui social per difendere le sue tesi bislacche sui vaccini. Chiunque l’abbia proposto, il motivo non è ben chiaro. Ma è lì, fa parte della terna: una proposta accettabile per la Meloni, un po’ meno per la Sicilia. Farebbe a pugni col rigore istituzionale che Musumeci dice di aver riportato al governo dopo cinque anni di politica-cabaret.

L’ipotesi che sia Fratelli d’Italia a dare le carte, però, resta soltanto un’ipotesi. Prima vanno consumati altri passaggi, a cominciare dalla conferenza stampa di domattina in cui Musumeci dovrà chiarire le sue intenzioni. Spiegando se le parole dell’altro giorno, durante l’inaugurazione della mostra su Sant’Agata, siano state pronunciate allo scopo di impietosire e richiamare l’attenzione, oppure per mandare tutti al diavolo.