Che l’avventura fosse ai titoli di coda lo confermano i fischi di Taormina. Ma non è ancora chiaro quanto ci sia di razionale nel coup de théâtre di Nello Musumeci – un azzardo, a dirla tutta – che lunedì ha annunciato non una, bensì due volte, l’addio a palazzo d’Orleans. La prima, in mattinata, nel corso di un appuntamento promosso da Federcasa; la seconda, in serata, durante l’inaugurazione di una mostra dedicata a Sant’Agata (stavolta ripreso dalle agenzie). Ciò che stupisce non è tanto il tempismo, quanto l’assenza di reazioni ufficiali. Non da parte della sfibrata maggioranza, che un motivo per esultare ce l’avrebbe eccome; né da parte dei sostenitori più strenui – leggasi Fratelli d’Italia – che puntavano sull’uscente per espandere i confini dell’impero meloniano fino in Sicilia. Silenzio dall’una e dall’altra parte.

La spiegazione è una sola: cioè il timore, o la certezza (dipende dai punti di vista), che quello di Musumeci si riveli un bluff. L’ultimo disperato tentativo per impietosire i rivali interni o, nella congettura più estrema, per stanarli e costringerli a ricercare un’alternativa. Eppure qualcuno ci ha creduto: durante la serata di festa organizzata all’Addaura da Forza Italia, per celebrare il risultato delle Amministrative (era presente anche il capogruppo azzurro dalla Camera, Paolo Barelli), al telefono di Licia Ronzulli, l’ambasciatrice di Silvio Berlusconi, è apparso il numero di Marco Falcone. L’assessore alle Infrastrutture, che nei mesi scorsi aveva messo in discussione la leadership di Micciché e si era dimostrato tra i forzisti più filopresidenziali, avrebbe chiesto alla senatrice di fissare un incontro per riorganizzare le truppe. Mentre rimane ai margini il fin qui fedelissimo Gaetano Armao: ai margini di Forza Italia, che non lo considera parte integrante del proprio organico; e dell’impero di Musumeci, che non può più utilizzarlo in alcun modo, avendo perso i “ribelli” forzisti la sponda dei big (ad eccezione di Marcello Dell’Utri).

A proposito di reazioni stizzite, invece, va segnalata quella dei vertici romani di Fratelli d’Italia. Che non erano al corrente delle parole di Musumeci fino al lancio d’agenza. Ignazio La Russa, che ha condotto in prima persona le trattative per evitare che lo sbullonassero dal trono d’Orleans, è letteralmente caduto dalle nuvole: “Noto che si tratta di una dichiarazione al futuro e non al presente. Non ho parlato ancora con lui, né con Giorgia Meloni e i dirigenti del centrodestra. Ma per me non è una novità quanto Nello Musumeci dice: la mia prima impressione è che le sue dichiarazioni siamo volte a ribadire che lui vuole l’unità di tutto il centrodestra, il sostegno pieno di tutta la coalizione”. Ma l’unità del centrodestra, che Musumeci richiama soltanto a parole, nei fatti non esiste. Quel “tolgo il disturbo”, secondo un big del partito, “è stata una reazione umorale ai fischi di Taormina. Ma lui è fatto così, non ha nulla di razionale…”.

Oltre a Falcone e Razza, l’unico investito direttamente dalla “crisi” è stato Manlio Messina. Che assieme agli altri due si è ritrovato al PalaRegione di Catania, nel pomeriggio di ieri, per provare a spegnere le fiamme. Il cavaliere del Suca, che è anche l’intermediario prediletto da Meloni per le vicende siciliane, avrebbe dovuto (e forse potuto) amplificare il messaggio con la filiera romana di FdI, e provocare una reazione. Un moto di solidarietà, almeno. Ma niente. Anzi, i vertici del partito che hanno ospitato Musumeci alle ultime Amministrative, senza tuttavia riuscire a misurarne il peso elettorale, si sarebbero risentiti non poco per questa iniziativa personale e non concordata. Che, peraltro, toglie a Fratelli d’Italia il privilegio di poter indicare direttamente il candidato alla presidenza.

Un coup de théâtre, come detto, che non è il primo e, forse, non sarà nemmeno l’ultimo. Al termine dell’elezione dei Grandi elettori per il Quirinale, all’Ars, il presidente della Regione fece fuoco e fiamme, minacciando l’azzeramento della giunta. Che nel giro di qualche ora sarebbe diventato un “rimpasto” e infine una verifica di governo dalla quale non è emersa la necessità dei partiti di cambiare alcunché. E tutto è rimasto com’era fino alla nomina di Alessandro Aricò alla Formazione. Una scelta che ha destato parecchie perplessità: non solo all’interno della (ex) coalizione, che ha rilanciato la figura di Nello “uomo solo al comando”; ma anche di Fratelli d’Italia che, a quanto pare, avrebbe preteso la casella per uno dei suoi esponenti. E’ quella nomina, comunque, il punto di rottura. La pietra tombale sui rapporti di vicinato con Lega e Forza Italia. L’ultima dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che non può esistere centrodestra unito con Musumeci dentro.

I fischi di Taormina, e l’intervista di Miccichè al Corriere della Sera, hanno disturbato a tal punto l’ego del governatore da indurlo alla mossa finale: “Toglierò il disturbo”. Nella speranza che qualcuno gli dicesse ‘ti prego, fermati’. Al di là di pochi adepti sui social, che gli chiedono a gran voce di restare, nessuno si è strappato le vesti. La campagna prosegue, con o senza di lui. Con un problema in meno – la sua presenza ingombrante – e una preoccupazione in più: trovare l’alternativa. Sullo sfondo resta un dubbio – ma faceva sul serio? – che non verrà sciolto fino alla conferenza stampa convocata per giovedì mattina a palazzo d’Orleans. La tregua, destinata a durare fino ai ballottaggi di domenica, è stata già infranta.